“L’Angelo disse ai pastori:
non temete, è nato il vostro Salvatore
lo riconoscerete così:
troverete un bambino avvolto in fasce
che giace in una mangiatoia
(Luca 2,9-13)
Natale di chi?
“Siamo in Avvento, ha proclamato la Chiesa nella sua liturgia e nei suoi discorsi. Espressione compresa forse relativamente da pochi, anche se tutti ne viviamo angosciosamente la realtà!
Avvento, attesa di qualcuno che viene, di qualcosa che ci liberi da noi stessi, dalle paure, dalle angosce, che ci liberi dal non senso di ciò che facciamo o di ciò che ci accade!
Non ha senso che muoia quel bimbo appena nato, quella giovane mamma e papà che sta costruendo nella fatica una famiglia sognata da tempo. Il messaggio cristiano ci assicura che è venuto, viene e verrà il Cristo, Lui, il Figlio di Dio, il Salvatore!
Ma non l’abbiamo mai visto! E oggi, poi, chi pensa ancora a quel bambino del presepio che fatto adulto fu condannato alla croce sul colle del Teschio, fuori di Gerusalemme?!
Stavo stretto in mezzo alla folla in una stazione: osservavo e pensavo! È arrivato un treno da Milano: uomini, giovani, donne, ragazzi, ragazze, innamorati e lavoratori, tutti di corsa, sguardo fisso in avanti, svelti verso … Non lo so. Attesa. Cammino … Forse verso la fabbrica, l’ufficio, desiderio, dovere, sogno … Vivevano l’avvento, la venuta, ma non di Lui, di quello annunziato dalla Chiesa! Qualcuno aveva lo sguardo dolce e sereno, ma erano pochi! Io ero lì, povero, con nel cuore un grande amore per tutti, con un desiderio immenso di bene, ma nessuno lo sapeva e forse cercavano proprio quella parola che avrei voluto dire, quella pace che avrei voluto donare, ma come fare? Come fermarsi? Come farsi capire? ... La notte intanto avvolgeva tutta quella folla senza nome che si disperdeva per le strade e scompariva nel buio soffocato da mille innominabili prepotenze … Qua e là qualche segno del Natale: una luce, una stella, un pupazzo dalla barba bianca.
Natale di chi? Di che cosa? Tempo di festa, di augurio, per molti ancora di buone mangiate e per molti di solitudine, di miseria e di nostalgia. È veramente un profondo mistero quello che stiamo vivendo e penso a quelle suore che qualche ora prima ho lasciato a pregare nel silenzio, davanti a un’ostia bianca: vivevano anche loro un mistero e gridavano a modo loro il loro amore e volevano testimoniare che Qualcuno è venuto e viene per tutti, ed è salvezza … Ma chi lo sa? Chi le vede? Chi comprende? Il messaggio di salvezza è annunziato, ma è necessario percepirlo ed accoglierlo, c’è forse bisogno di silenzio e di calma.
Il Salvatore esiste, è venuto, viene e verrà. È il lieto messaggio di questo periodo dell’anno, è la grande rivelazione dell’amore vero che chiamiamo Dio. Ma dove e come viene annunziato questo messaggio? E in mezzo a quella folla senza nome, penso alle parole che saranno gridate in tutte le chiese, ma mi sembrano parole vuote e astratte, incomprensibili, stonate in una stazione ferroviaria! Eppure sono per tutti. A tutti vorrebbero dare speranza, pace e amore! ma è diventato un linguaggio incomprensibile! Il grande problema della Chiesa oggi: farsi capire da tutta quella gente delusa, arrabbiata, in continua ricerca di un significato, di un perché. Forse non bastano più le parole, ci vogliono dei segni tangibili e ci sono anche, ma anche questi non sono compresi, perché siamo storditi da troppe cose inutili e dal nostro egoismo ed orgoglio.
Mi viene la voglia di gridare la vita, la bellezza, l’amore, di sorridere, di cantare in mezzo a quella stazione, in piazza, ovunque, come aveva fatto Francesco che gridava in faccia tutti semplicemente: pace e bene, speranza e perdono! Ma era preso per pazzo. Forse sarebbe la stessa cosa! Che fare allora?! Come far capire che c’è ancora salvezza e speranza e che i malati guariranno e che la morte non è la fine e che ci sarà una vita dove “non ci sarà più lutto nel pianto, ma tutto sarà nuovo?” (Apocalisse).
C’è stato Uno che ci ha insegnato queste cose. È venuto, ha insegnato, ma non l’hanno capito allora, e tantomeno oggi.
Mi sistemo sul treno in partenza: guardo ed ascolto, la stessa gente, gli stessi discorsi, gli stessi volti tirati e pensosi, alcuni sereni e buoni: un’umanità che attende. Raccolto in me stesso ricorda e rivivo un giorno in montagna.
Era una giornata di distensione e di fraternità. Ero solo e attendevo gli altri saliti su sotto il sole e nella neve. Preparavo la polenta contento di vederli arrivare, soddisfatti di trovare qualcosa di caldo, appeso sotto il tubo della stufa, un vecchio crocifisso mi richiamava alla realtà della vita. Uno scalpiccio alla porta, sono loro:
-padre Roby, è morto Giacu, ne stanno scavando la fossa.
Un piccolo cimitero poco lontano, quattro pini che da anni si nutrono della carne di quei montanari. Domani li raggiungerà anche Giacu, vissuto tra le mucche col suo cane e la sua famiglia che però a poco a poco ha lasciato quei monti per cercare lontano lavoro, pane e amore. Giacu è morto, ma quell’uomo in croce sotto il camino aveva detto: “chi crede in me non muore!” E allora anche Giacu vive, perché lui credeva, forse a modo suo, senza complessi ragionamenti, credeva nel Vangelo; nel Vangelo c’è pure scritto: “il regno dei cieli è di coloro che si fanno bambini, dei piccoli” e Giacu era un piccolo, semplice e povero, anche se amava il suo bicchierino di grappa ogni giorno per tirarsi su! Quell’uomo-Dio sulla croce è risorto per testimoniare la verità di quello che aveva detto, ha promesso a tutti la risurrezione e, se è così, anche Giacu risorge.
(tratto da: Padre Roberto Accamo, Briciole di vita, edizione a cura frati Cappuccini, Pinerolo 1996)