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Io sono la vite, voi i tralci.
Chi rimane in me, e io in lui,
porta molto frutto,
perché senza di me
non potete far nulla
(Giovanni 15,5)

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Fede che nasce dall'ascolto (Enzo Bianchi) 


Dopo averci presentato le tentazioni di Gesù e la sua trasfigurazione, nell’annata liturgica A la chiesa propone, attraverso brani del quarto vangelo, un percorso che ci aiuta ad approfondire le valenze del battesimo. Oggi meditiamo sull’incontro tra Gesù e la donna samaritana. Dalla Giudea Gesù deve ritornare in Galilea, e potrebbe farlo risalendo la valle del Giordano. 

La strada era più piana, più sicura e permetteva di non dover attraversare la Samaria, regione montuosa ma soprattutto terra ostile ai giudei. Invece – precisa il testo – Gesù “doveva” passare in Samaria, particolare che esprime una “necessità divina”: in obbedienza a Dio, proprio perché la

sua missione non è ristretta solo ai giudei, Gesù attraversa quella terra. 

E così incontra dei nemici: i samaritani erano sì ebrei, ma da alcuni secoli si erano separati dagli altri, dai giudei, fino a rinnegare il tempio di Gerusalemme e a costruirne uno nuovo sul monte Garizim… Da allora regnava inimicizia tra giudei e samaritani, ritenuti impuri e idolatri, al punto che quando alcuni giudei vorranno rivolgere a Gesù l’insulto più infamante gli diranno: “Sei un samaritano, un indemoniato!” (Gv 8,48). Eppure Gesù accetta di incontrare anche questi nemici religiosi, si fa samaritano tra i samaritani. 

Nell’ora più calda del giorno giunge in Samaria, “affaticato per il viaggio”, e va a sedersi vicino al pozzo di Sicar, il pozzo di Giacobbe (cf. Gen 33,18-20). È stanco e assetato ma non ha alcun mezzo per attingere acqua. Sopraggiunge anche una donna che, a causa del suo comportamento immorale pubblicamente riconosciuto, è costretta a uscire per strada a quell’ora, per non incontrare sguardi di disprezzo. 

Mentre la donna maneggia la corda e l’anfora, Gesù le chiede: “Dammi da bere”. Al sentire quelle parole nella lingua dei giudei essa si meraviglia: qualcuno che è nella sua stessa condizione di assetato le chiede da bere, le chiede ospitalità, ma è un nemico, uno che dovrebbe sentirsi superiore a lei. Una donna, una samaritana, un’immorale poteva aspettarsi da un giudeo solo disprezzo; egli invece le chiede qualcosa, si fa mendicante presso di lei. Ecco la vera autorità vissuta da Gesù: la sua capacità – come indica il termine latino auctoritas, da augere – di aumentare l’altro, di farlo crescere, di renderlo soggetto. 

La donna, stupita, domanda a Gesù: “Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me che sono una donna e per di più samaritana?”. Quale abbassamento! È questo ciò che la colpisce… Allora Gesù, incurante di abbattere questa ennesima barriera sociale e religiosa, inizia a svelare se stesso: “Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: ‘Dammi da bere!’, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva!”. 

La donna ha sete, Gesù ha sete: ma, in realtà, chi dà da bere all’altro? C’è una sete di acqua di Gesù e della donna, resa più impellente dal caldo, ma c’è pure un’altra sete che a poco a poco emerge tra le righe… Nella Bibbia il pozzo, fonte di acqua per la vita degli umani, è anche simbolo della sorgente della vita spirituale dei credenti. Per questo, secondo la tradizione ebraica, il pozzo con la sua acqua profonda, fresca, dissetante, rappresenta la Parola di Dio contenuta nelle sante Scritture, in particolare la Torah donata da Dio attraverso Mosè. 

Gesù sa – e glielo dice apertamente – che questa donna, figura della Samaria adultera (cf. Os 2,7), ha cercato di placare la sua sete attraverso vie sbagliate: ha avuto diversi uomini, ha bevuto ogni sorta di acqua… E così le svela la sua condizione, ma senza rimproverarla o condannarla, bensì invitandola ad aderire alla realtà e, di conseguenza, a fare ritorno al Dio vivente. 

La donna accetta di mettersi in gioco e riceve in cambio una promessa straordinaria: “Quest’acqua”, così come la Legge di Mosè, “non disseta per sempre. Ma chi beve dell’acqua che io gli darò non avrà più sete in eterno; anzi, diventerà in lui sorgente che zampilla per la vita eterna”. Gesù le annuncia l’inaudito, l’impossibile: egli dà un’acqua che si trasforma in una sorgente dentro il cuore di chi aderisce a lui. E bere di quest’acqua significa scoprire in sé una fonte inesauribile, perché quell’acqua è lo Spirito effuso da Gesù nei nostri cuori (cf. Gv 7,37-39; 19,30.34)! 

La samaritana comincia a intuire qualcosa, e ora è lei a porre una domanda a Gesù: “Signore, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete”. Ma al di là dell’acqua deve trovare chi è la fonte, dietro al dono deve scoprire il donatore. Deve dunque abbassarsi a riconoscere di essere una donna incapace di comunione, di comunicazione vera, di relazione autentica con un uomo; una donna nella miseria, una donna che conosce padroni ma non uno sposo, una donna alienata e sempre abbandonata. Scoprendo in verità se stessa, scopre che Gesù è profeta, e allora gli chiede dov’è possibile adorare Dio, cioè iniziare un’autentica vita di servizio al Dio vivente e vero: a Gerusalemme o sul monte Garizim? 

A questo punto Gesù le annuncia: “Viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in Spirito e Verità”, cioè nello Spirito santo e in Gesù Cristo che è la Verità (cf. Gv 14,6). Sì, il luogo dell’autentica liturgia cristiana non è più un tempio di pietre ma la persona umana, corpo di Cristo (cf. 2Cor 13,5) e tempio dello Spirito (cf. 1Cor 6,19)! 

Di fronte a queste parole di Gesù, la samaritana osa confessare la propria attesa: insieme alla sua gente attende il Messia, attende colui che svelerà tutto. Ed è solo al termine di questo dialogo che Gesù le dice: “Io sono – il Nome di Dio (cf. Es 3,14) – che ti parlo”. La donna si è svelata nella sua miseria, Gesù si svela nella sua verità di Messia, di Cristo, inviato da Dio secondo le promesse. 

Ma ormai l’incontro umanissimo con Gesù ha trasformato questa donna in una creatura nuova, rendendola testimone ed evangelizzatrice. Ecco perché, “lasciata la sua anfora” – gesto che dice più di tante parole! –, corre in città ad annunciare a tutti di aver incontrato il Messia. Per la samaritana testimoniare è innanzitutto ricordare i fatti, gli eventi, raccontare la propria esperienza: qualcosa di decisivo è avvenuto nella sua vita, essa ne è stata toccata, ferita, e ciò ha provocato in lei un mutamento, una conversione. 

E dopo aver ricordato i fatti suggerisce un’interpretazione: “Che sia lui il Messia?”. Non impone a quanti la ascoltano un dogma, né una verità espressa in termini rigidi, ma propone una lettura che permetterà loro di fare una scelta nella libertà, mossi dall’amore. Suggerisce più che concludere, e così facendo accende il desiderio dell’incontro, che mette in movimento queste persone. 

“La fede nasce dall’ascolto” (Rm 10,17), dirà l’Apostolo: dall’ascolto di Gesù è nata la fede della samaritana, dall’ascolto della samaritana è nata la fede della sua gente. E dalla fede procede la conoscenza, dalla conoscenza l’amore: questo è l’evento cristiano, mirabilmente narrato nell’incontro di due persone assetate!

(Enzo Bianchi, in www.notedipastoralegiovanile.it)