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Io sono la vite, voi i tralci.
Chi rimane in me, e io in lui,
porta molto frutto,
perché senza di me
non potete far nulla
(Giovanni 15,5)

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Un commento al Vangelo della prima domenica per vivere intensamente questo Avvento 

«25Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, 26mentre gli uomini moriranno per la paura e per l'attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. 27Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. 28Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina. 34State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all'improvviso; 35come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. 36Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere e di comparire davanti al Figlio dell'uomo». (Lc 21, 25-28.34-36)

Oggi inizia l’Avvento, periodo di attesa, in vista di un compimento.

Quattro settimane per rendere il cuore capace di far emergere dal sé autentico, la Presenza che desidera impregnarlo e così, trasformarlo.

Gesù, nel Vangelo di oggi, afferma: «State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano …» (v. 34).

Un cuore appesantito, ossia ingombro d’altro, non può far emergere l’Altro.

Il contrario di ‘appesantito’ non è ‘leggero’, bensì ‘puro’, ma non inteso in senso moralistico, ossia privo di peccato. ‘Cuore puro’ è assenza di ossessioni, turbamenti, inquietudini, e quindi liberazione da brame e istinti. È uno ‘stato di quiete’, sorto dall’essersi lasciati dietro le spalle ogni cosa per essere liberi e aperti all’accadere di un dono.

È interessante che Gesù faccia riferimento in particolare a tre possibili malattie del cuore: la dissipazione, l’ubriachezza e l‘affanno (v. 34).

Dissipare significa disperdere, svanire, rendere inconsistente. C’è il rischio di vivere come fumo, nebbia, in maniera inconsistente appunto, e al primo bagliore del sole costatare che di tutto ciò che abbiamo pensato si stesse costruendo non è rimasto nulla.

Vivere da ubriachi significa consumare i giorni nell’inconsapevolezza, lasciar accadere le cose senza viverle veramente, magari anche in preda all’euforia, o in una tristezza mortale, ma comunque mai ‘in sé’, mai da protagonisti, come coloro che hanno delegato ad altri il proprio mestiere di vivere.

Vivere in maniera affannata poi, è come correre a perdifiato, in continua agitazione, sempre alla ricerca di qualcosa, di una meta, ma che – come in un incubo – destinata a rimanere sempre aldilà, disperatamente irraggiungibile.

  Il periodo di Avvento, è invito a fermarsi, o almeno a rallentare, perché in una vita dove tutto è fast, non ci si può accorgere di ciò che passa e vive accanto: le cose veramente importanti sono molto lente nel loro divenire, come la crescita di un filo d’erba o d’un bimbo.

Tempo privilegiato per farsi raggiungere; lo dice la parola stessa: avvento, qualcosa che viene incontro, che visita, che accade e ciò che chiede è solo creazione di spazio capace di accogliere, perciò di svuotarsi.

Un tempo di purificazione, da tutto ciò che ingombra il nostro cuore: immagini, pensieri, parole, giudizi e pregiudizi. Soprattutto per quando riguarda il mondo religioso e di Dio.

Tempo per purificare tutte le nostre immagini fallaci di Dio e del divino. Un Dio, sempre oltre quello che possiamo immaginare e pensare, il quale potrà visitarci a patto che resettiamo in ogni istante, i nostri pre-concetti su di lui e sul suo modo di agire su di noi.

«Dio è una negazione della negazione», diceva Meister Eckhart.

Non si partecipa a Dio come altro da sé: Dio va negato come oggetto altro da noi, perché possa divenire puro Spirito in noi: «È bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Paràclito» (cfr. Gv 16, 7).