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Io sono la vite, voi i tralci.
Chi rimane in me, e io in lui,
porta molto frutto,
perché senza di me
non potete far nulla
(Giovanni 15,5)

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Sulla Lectio divina  
(Monaci Silvestrini)

La Lectio divina è un modo di accostarsi alla Parola di Dio, in vista della preghiera, ascolto-risposta, quindi colloquio con Dio.

Fin dall’inizio del monachesimo i grandi maestri inculcarono la necessità della lettura frequente e assidua della preghiera. Sovente i monaci sapevano a memoria dei brani della Scrittura.

Nel medioevo non abbiamo che una esegesi molto imperfetta, se la paragoniamo a quella di oggi, resa possibile dai progressi della filologia e delle altre scienze moderne. Eppure allora la Scrittura alimentava abbondantemente la vita dei monaci e della Chiesa in genere, soprattutto attraverso una esegesi spirituale. Per  i monaci dell'antichità e del medioevo, la Bibbia non può essere separata dai commentari che ne hanno fatto i Padri della Chiesa; i loro scritti sono spesso designati semplicemente come "esposizioni» dei libri sacri, perché qualunque sia il genere letterario da essi adottato, non hanno fatto altro che spiegare versetti della Scrittura.

In pratica i monaci avevano una familiarità tale con la Scrittura, da esserne veramente "impastati": indubbiamente la Bibbia era il libro del monaco, e il monaco l'uomo della Bibbia; la sua preghiera consisteva spesso nel ripetere lentamente, gustandoli  versetti della Scrittura (la cosiddetta ruminatio).

È la stessa storia della salvezza, che ha il suo culmine nel mistero pasquale di Cristo, al quale ogni monaco, ogni cristiano, partecipa, facendo suoi i misteri di cui parlano le Scritture; in un certo modo lo stesso Spirito di Dio, che ha ispirato gli autori dei libri sacri, continua ad agire in coloro che li leggono e che cercano di ripetere quella esperienza di cui parlano i sacri testi.

Cristo è la chiave dei Testamenti, perché Egli è la Parola definitiva di Dio, la Parola « il Verbo» fatta carne  nella pienezza dei tempi, in cui tutte le promesse di Dio e le parole precedenti hanno avuto il loro

compimento: "Lui che cerco nei libri", diceva S. Agostino.

Ma il mistero di Cristo continua nel mistero della Chiesa e nella vita di ogni singolo credente, che sono la continuazione - attualizzazione del mistero della salvezza. Quindi tutta la Scrittura viene letta come annuncio - profezia di Cristo, della Chiesa, del cristiano. Questo è il metodo dei Padri, dalla cui riflessione è scaturita la dottrina dei diversi "sensi biblici": la tradizione medioevale ne conosce quattro:

-          Senso letterale

-          Senso allegorico: insegna ciò che devi credere

-          Senso morale:  insegna come comportarti

-          Senso anagogico (escatologico o contemplativo: ti insegna a ciò che devi tendere).

Il senso letterale è la corteccia; gli altri tre l’approfondimento, il senso spirituale. Un grande maestro è stato san Gregorio Magno: i suoi commentari biblici ci dimostrano il senso profondo che egli scopre nella Scrittura, intendendo la vita spirituale come compimento della storia sacra in ogni fedele.

È il mistero di Cristo, della Chiesa e ci ciascuno di noi. A questo criterio deve ridursi il valore teologico della lectio divina.

Così intendevano i Padri: Così i Padri intendevano questa unione intima con la Scrittura. Bisogna vivere tutta la Bibbia, partecipare interamente a ciò che si legge. Si veda ancora questo testo meraviglioso di Cassiano: "Fortificato da questo cibo, (il monaco) penetra a tal punto nei sentimenti espressi dai salmi, che egli li recita ormai non come composti dal profeta, ma come se fosse lui stesso l'autore, come un'opera personale nella più profonda compunzione; o almeno pensa che i salmi sono stati composti apposta per lui, e capisce che ciò che i salmi  esprimono, non si è avverato solo in tempi lontani nella persona del profeta, ma trova anche in lui al momento  presente il suo compimento" (Coll. X, 11). Se tutto ciò è vero dell'AT, a più forte ragione vale per il NT, per Cristo; il Vangelo ci offre l'occasione di penetrare il consiglio di Paolo: "Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo" (Filip. 2, 5). Ecco come tutta la Bibbia si legge come un unico filo conduttore, con l'occhio cioè illuminato dal carisma profetico, come mistero di storia sacra, storia della salvezza, che dovrà compiersi fino al ritorno glorioso di Gesù.

La Sacra Scrittura va letta nella fede, va penetrata attraverso l'intervento dello Spirito Santo, come parola che viene da Dio e a Dio conduce. Il monaco, che deve essere soprattutto l'uomo dell'ascolto, è attento alla parola di Dio per accoglierla, custodirla, metterla in pratica, produrre frutti (Mt.13,23). "Scopo della lectio divina è la ricerca di Dio nella parola scritta.

Ecco perché si parla di lettura personale, di un confronto continuo con la Scrittura. Secondo una definizione assai diffusa nel medioevo attraverso Gregorio Magno, ma la cui paternità spetta a S. Agostino, la Bibbia è come uno specchio in cui si deve veder riprodotta l'immagine da seguire e, se da questa si discosta la propria condotta, è dovere del singolo ridurre o eliminare lo scarto che rende l'uomo difforme dal modello biblico. Il Maestro interiore rivolge a ciascuno un messaggio personale e unico, ma ciò attraverso un messaggio universale, anteriore a noi, che nella Bibbia è proposto a tutti; tocca quindi a ciascuno farlo individuale, interiorizzarlo, attualizzarlo per sé. Nei racconti e nei libri storici, il lettore confronterà la sua esperienza con quella dei personaggi biblici, vedrà l'iniziativa di Dio e la risposta dell'uomo : tutto servirà come simbolo della realtà della vita cristiana.

Fra le tante parti così diverse che compongono la Bibbia, ciascuno avrà delle legittime preferenze: chi si nutre molto bene dell'AT, chi del NT, a qualcuno piace particolarmente S. Paolo, a qualcun altro piacciono i Vangeli, chi preferisce i Sinottici, chi Giovanni, qualcuno si ritrova meglio nei libri sapienziali o nei salmi, qualcun altro nei Profeti. Perché nella Bibbia si trova tutto, ci si può riferire a tutti i casi: che ciascuno ponga davanti al sacro testo le questioni e i problemi suoi, e Dio darà la risposta a lui adatta. Perché la lectio divina è un dialogo d'amore, il cuore si lascia toccare da ciò che Dio dice; Dio parla e io rispondo: è una conversazione con una Persona Viva che mi interpella e mi coinvolge in una comunione di vita. Questa è la grande, suprema esegesi. Questo è il succo della lectio divina.

I vari momenti della lectio divina

Illustriamo ora i vari atti in cui si articola la lectio divina, come sono stati consacrati dalla tradizione monastica, in quanto si tratta di una lettura meditata e orante della parola di Dio. Nel sec.XII Guigo II il Certosino ha così sintetizzato le tappe di questo ascoltare - rispondere, che è poi l'arco di tutta la vita spirituale:

1.  Lectio

2.  Meditatio

3.  Oratio

4.  Contemplatio

LETTURA
« Lectio ».

È il punto di partenza. Per giungere a quella intimità con la sacra pagina, intimità di cui si è parlato sopra, è necessaria una lettura continua e organica. Tutti gli autori monastici insistono su questo punto, perché esso è la condizione preliminare per stabilire col testo un rapporto personale e proficuo. Allora bisogna applicarsi al testo con attenzione, con calma, e soprattutto accostarsi nello spirito.


Prima di iniziare la lettura, bisogna mettersi in una disposizione particolare e invocare lo Spirito Santo che venga ad illuminarci.


Ci vuole poi fedeltà, continuità, assiduità. Bisogna dedicare alla lectio divina un tempo, e un tempo adatto, non i ritagli di tempo, nella fretta e nella distrazione. E questo non è facile oggi; può diventare un vero esercizio di ascesi. Deve essere una lettura assidua: è una condizione indispensabile per la lectio divina.

Bisogna leggere la Bibbia, soprattutto la Bibbia, leggerla spesso e leggerla interamente. (sfogliare a caso qua e la forse non è cosa utile), senza trascurare quelle parti dell'AT che forse possono sembrare poco utilizzabili nella vita spirituale. Alle volte saremo tentati di scegliere testi molto densi, ma è meglio seguire tutte le parti, perché in tal modo si introduce nella vita interiore un elemento di varietà; lo spirito umano è facile ad abituarsi a tutto! Non dimentichiamo poi che la parola di Dio ha la qualità di essere cibo quotidiano e, come ogni nostro pasto, non sempre ci può dare quella soddisfazione e quell'appagamento di cui soltanto in rari momenti ci è dato di godere. Il caso di aridità diventa il momento dell'ascolto di Dio nella fede, nel buio della fede; questi "silenzi" di Dio sono salutari, perché ci fanno comprendere la nostra incapacità a pregare e ci aiutano a fissare lo sguardo in Dio solo.

Ci vuole dunque assiduità: leggere e rileggere, perché la parola di Dio penetri. Concretamente, si potrebbero scegliere due strade:

-  o seguire il lezionario quotidiano, così si ha anche l'aggancio con la liturgia del giorno; oppure fare la lettura continuativa dei singoli libri della Scrittura; ma anche qui ognuno ha la sua esperienza, lo Spirito soffia dove vuole!. Come risultato di questo contatto continuo con la parola di Dio, si finisce per subire una sorta di condizionamento psicologico con le idee, le immagini, le frasi stesse della S. Scrittura, fino a farci acquistare ciò che si può chiamare una "mentalità biblica", che influisce continuamente sulle nostre scelte.

MEDITAZIONE
« Meditatio »

Secondo momento, che per altro non si distingue chiaramente dal primo: si passa insensibilmente dalla lettura all'approfondimento. Per gli antichi, la "meditatio" non era quello che noi intendiamo oggi per "meditazione", ma era un esercizio di lettura, di ripetizione, anche pronunziata, delle parole fino a imparare il testo a memoria; "meditatio" nel senso di "exercitatio", ed era un esercizio in cui interveniva la persona intera: il corpo, perché la bocca pronunziava il testo; la memoria che lo riteneva; l'intelligenza che si sforzava di penetrarne il significato; la volontà che si proponeva di metterlo in atto nella vita pratica. I Padri parlavano anche di "masticare" la Parola, per essi c'era la famosa "ruminatio" della S. Scrittura, cioè ritornare sul testo, richiamarne le parole, ritrovare il tema centrale e imprimerlo profondamente nel cuore. Le testimonianze sono numerosissime: Atanasio a proposito di Antonio il Grande, Girolamo, Ambrogio, Agostino, Isidoro,... su su fino al medioevo cercavano il "sapore" della

Scrittura, non la scienza. Giovanni di Fecamp (sec. XI) parla di "gustarla in ore cordis" "nella bocca del cuore", ma l'espressione è intraducibile ». Tutte le testimonianze dei Padri vanno viste alla luce del salmo 118: "Nel silenzio della notte medito la tua parola..., nel cuore della notte mi alzo per leggere la tua parola..., medito la tua parola..., desidero la tua parola..., la tua parola è la mia gioia..., giorno e notte medito la tua parola..., la tua parola mi fa vivere..." (salmo 118, passim).

Come non richiamare qui, quale modello singolare, l'atteggiamento meraviglioso di Maria SS. ma? Lei l'umile ancella del Signore (Lc.1,38), che ha creduto alla Parola (Lc.1,45), se ne stava in silenzio, ascoltando, meditando e custodendo nel suo cuore ciò che faceva e diceva Gesù (Lc2,19. 51; 11,27-28).

Poiché si tratta di un lavoro paziente di approfondimento, di "gustare" la parola di Dio, ci serviamo anche degli strumenti culturali e scientifici che abbiamo, e dei commenti patristici e spirituali. Ricordiamoci che il fine è la meditazione del testo stesso; la comprensione del testo che è richiesta dalla lectio divina, dipende dall'intelligenza dell'intera Bibbia, dalla conoscenza della "Scrittura attraverso la Scrittura" (è il metodo dei Padri), dalla capacità di lettura mediante concordanze, accostamenti, richiami di testi paralleli. Si provi ad esempio con un brano sulla Bibbia di Gerusalemme, andando a cercare tutti i richiami indicati in margine; si vedrà come l'orizzonte si allarga e pian piano si entra nell'atmosfera della parola di Dio; si crea così uno spazio di risonanza, che illumina e accresce il messaggio e provoca, sotto l'azione dello Spirito Santo, l'intelligenza estensiva e spirituale. S. Gregorio Magno, grande maestro della lettura spirituale della Scrittura,  ha un'espressione bellissima: "Scriptura crescit cum legente" « "la Scrittura cresce con chi legge", Omelia VII su Ezechiele, libro I, n.8», cioè le Scritture sante si sviluppano e accrescono nel loro senso e negli annunci profetici di salvezza, a seconda della fede e dell'amore di chi legge.

PREGHIERA
« Oratio »

I momenti precedenti quasi conducono alla preghiera. In realtà già quanto detto finora è una forma di preghiera; si tratta di prenderne coscienza, ed è la risposta alla lettura, si entra in conversazione con Dio; la parola è venuta in noi ed ora torna a Dio sotto forma di preghiera. Ed è questa la vera preghiera cristiana, quella che sgorga dal cuore al tocco della divina parola. "Cerca di non dire niente senza di Lui" - dice S. Agostino - "ed Egli non dirà nulla senza di te" (Esposizione sul salmo 85,1); cioè, prega con la parola di Dio ed Egli allora non manderà a vuoto in te la sua Parola. Si tratta di fare nostre le parole della Scrittura, farle entrare nel cuore, e poi restituirle a Dio dopo averle segnate con la nostra adesione. Ascoltiamo ancora S. Agostino: "Se il salmo è preghiera, pregate; se è gemito, gemete; se è riconoscente, siate nella gioia; se è un testo di speranza, sperate; se ispira il timore, temete" (Esposizione sul salmo 33). è una risposta nell'umiltà, nella piccolezza, ma anche nella franchezza che è possibile proprio quando si parla a Dio con le sue parole.

Lo ha ben compreso l'intelligenza liturgica della Chiesa che ci mette sulle labbra sempre parole ispirate.

(Penso sia superfluo - tanto appare scontato da quanto detto - ricordare l'aggancio tra lectio divina e liturgia: - la lectio divina è preparazione e, nello stesso tempo, prolungamento della liturgia della parola. Abituiamoci dunque a nutrire la nostra preghiera di tutto quel ricco deposito che la Parola di Dio, letta nel silenzio, o ascoltata nella proclamazione liturgica, ha lasciato in noi.

CONTEMPLAZIONE
« Contemplatio »

Non è qualcosa a cui arriviamo noi, con sforzi personali, è un dono dello Spirito Santo che germoglia sulla nostra lettura pregata. Non è estasi, né esperienza straordinaria, o stato mistico, o visione, ma è esperienza viva di fede, è Cristo che si manifesta nelle Scritture.

Egli è così entrato nella parte più intima del nostro essere: non ci resta che guardarlo e contemplarlo, come Maria la Madre di Gesù a Betlemme, e come Maria di Betania seduta ai suoi piedi (Lc.10,39). Ogni pagina della Scrittura ci svela questo Cristo e ce lo fa emergere nella lectio divina.

Gesù, nel Vangelo di Giovanni, promette l'esperienza di Dio a chi lo ama veramente e accoglie la sua parola, quando parla di un "manifestarsi" a lui (Giov.14,21.23); e ancora dice: "Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo" (Giov.17,3). Sappiamo tutta la forza di quel verbo "conoscere"   ebraico "jadà”, intraducibile nelle nostre lingue, un 'conoscere frutto di amore’, entrare in profonda comunione, creare un rapporto di intimità con Lui, un "conoscere sapienziale", quella

conoscenza di Cristo di cui tanto spesso parla S. Paolo (Efes.3,10; Filip.3,10; Colos.1,10; 2,,2-3; 3,10; ecc.) e che si identifica con la fede adulta di ogni cristiano; essa è l'oggetto della preghiera dell'Apostolo per i fedeli: "(...) potentemente rafforzati dal suo Spirito nell'uomo interiore. Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori e (...) siate in grado di conoscere l'amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio" (Ef.3,16-19). Questa è la sostanza di ciò che Cassiano e la tradizione monastica chiamano la "oratio pura", questa è la contemplatio nell'ultima tappa della lectio divina.

Alcune difficoltà

Non vogliamo, al termine di questa esposizione, dissimulare alcune difficoltà. Se si dice – e giustamente che la pietà monastica è fondata sulla Bibbia, non bisogna dimenticare che il soggetto di tale lettura è l'uomo concreto, l'uomo del nostro tempo, con il suo bagaglio psicologico e ambientale.

Una prima difficoltà deriva dal fatto stesso della lettura, di come si serve della lettura l'uomo d'oggi. L'uomo moderno legge velocemente; la civiltà moderna esige velocità nella stessa lettura, la quale è soprattutto "informativa", tende a far sapere il maggior numero di cose nel minor tempo possibile: la lectio divina, invece, deve essere lenta. La lettura che cerca di acquistare nuove conoscenze lo vuole fare nella maniera più veloce: la lectio divina, al contrario, è a base di "ruminazione", cioè della lenta assimilazione del testo letto. L'uomo moderno, poi, legge per agire, si documenta in vista dell'azione, la sua lettura guarda all'efficacia, all'efficienza: la lectio divina, invece, deve essere disinteressata. L'uomo moderno, inoltre, legge per distrarsi: di qui la moda (anche nei film e in TV) dei romanzi d'evasione, dei gialli intricati, della fantascienza, per uscire appunto dal quotidiano, dalla vita di sempre: la lectio divina è una lettura impegnata, in cui uno si sente realmente e direttamente coinvolto. E ancora l'uomo moderno si informa e si distrae collettivamente: fino a pochi anni fa c'era la civiltà del libro che sviluppa un'informazione individuale, ora, con i mass - media, la civiltà attuale produce un tipo di informazione collettiva: la lectio divina, invece, è una lettura solitaria, un rapporto personalissimo tra pagina sacra e lettore.

Altra difficoltà: non dimentichiamo che la S. Scrittura non sempre è così facile o immediata; richiede una certa preparazione, studio, e quindi tempo.
Un'altra difficoltà è data dal fatto che i testi dei Padri non sono così facilmente gustabili, se non si ha una determinata formazione, se non si entra in una certa mentalità. Alcune interpretazioni allegoriche sembrano a noi un po' ricercate e forzate, non ci danno il senso dell'immediato, dell'attualizzazione ovvia ed evidente; siamo abituati poi a un linguaggio diverso, ecc. Tuttavia, non dobbiamo lasciare (anzi dobbiamo riscoprire) i Padri: il loro metodo è il migliore per una lettura orante della Bibbia; è un cibo duro, ma solido e nutriente.

Aggiungiamo tutte le difficoltà dell'uomo di oggi per raccogliersi, per concentrarsi. Per riuscire in questo, ci vuole sforzo continuo, fatica, allenamento. Bisogna proprio riconsiderare il rapporto tra preghiera, lectio e ascesi. C'è tutto il problema di una certa preparazione alla preghiera e alla lectio divina: una preparazione remota, che comprende tutta la vita, uno sforzo di coerenza alla propria vocazione, l'evitare una eccessiva agitazione e dissipazione nel lavoro o nel ministero; una preparazione prossima, per stabilire pace e silenzio in noi stessi, oltre che all'esterno... Tutte queste cose non sono sempre così facili e soprattutto non sono affatto scontate: dobbiamo fare i conti con le situazioni concrete della vita e della persona umana!

E pensiamo quindi al problema di fondo, cioè a una dimensione maggiormente contemplativa della vita monastica. Per arrivare a quell'atmosfera in cui sia possibile una proficua lectio divina, bisogna recuperare il valore della solitudine, del silenzio, di una vita nascosta in Dio, valori che forse davanti al mondo d'oggi il monachesimo è chiamato a incarnare e testimoniare.

Conclusione

Davanti alle difficoltà accennate, davanti forse a tutta l'esposizione precedente, si potrebbe avere l'impressione di un apparato complesso, complicato, e ci si potrebbe chiedere se la lectio divina non sia un "esercizio monastico" divenuto anacronistico, resto di una civiltà passata. Ma se si prova a dare spazio allo Spirito del Signore, se ci si mette con semplicità e povertà davanti a Lui, tutto appare molto più semplice.

Bisogna fare l'esperienza, sia pure nello sforzo, nell'aridità. Dobbiamo tornare alla lectio divina, tornare a fare il vero "metodo" di vita spirituale.

S. Gregorio Magno rimproverava dolcemente Teodoro, il caro amico medico, perché non trovava più il tempo di attendere quotidianamente alla lectio divina come si era impegnato: "ogni giorno medita le parole del tuo Creatore. Conosci il cuore di Dio nelle parole di Dio" «disce cor Dei in verbis Dei, Epistola 31,54».

E c'è l'esempio fulgido di Gregorio stesso, Pontefice, ma fedele come un monaco alla lectio divina; nella predicazione, commentando Ezechiele, fa un umile e commovente esame di coscienza personale di fronte alla parola di Dio: "Tacere non posso ...; parlerò, parlerò affinché la spada della parola di Dio (...) arrivi a trafiggere (...); parlerò, parlerò affinché la parola di Dio risuoni anche contro di me per mezzo mio" (Omelia XI su Ezechiele, libro I, n.5).

La ruminatio verbi sia anche per noi nutrimento e consolidamento spirituale. Se non ne comprendiamo l'utilità, il Signore ci faccia la grazia di sentire, come Agostino in una serata d'agosto del 386 in un giardino a Milano: "Tolle et lege" « prendi e leggi »! (Confes. VIII, 12,29).

(Sunto liberamente tratto da "Appunti sulla Regola di S. Benedetto" di D. Lorenzo Sena, OSB. Silv.pubblicato sul sito Web del Monastero S.Vincenzo di Bassano Romano (VT) (http://sanvincenzo.silvestrini.org)