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Io sono la vite, voi i tralci.
Chi rimane in me, e io in lui,
porta molto frutto,
perché senza di me
non potete far nulla
(Giovanni 15,5)

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La vita spirituale e la maturità della fede
(Carlo Molari)

La persona è in crescita e l'umanità è in divenire. Affermiamo qui alcuni principi fondamentali: la persona cresce per le «offerte di vita» che le vengono dalle relazioni. Questo deve renderci attenti agli altri per offrire a tutti, soprattutto ai più poveri, delle offerte di vita che li facciano crescere.

Nei processi della creazione e della storia l'azione di Dio diventa l'azione delle creature (Dio non fa, ma ci concede di fare!). In questo senso si comprende l'ambiguità della terminologia «natura e soprannatura» (anche la dimensione spirituale è umana per quanto donata). La vita spirituale non è soprannaturale (visione statica), ma divina, nel senso che essa si sviluppa per l'azione dello Spirito di Dio. Nella prospettiva dinamica ed evolutiva l' azione creatrice si esprime secondo il livello che la persona ha raggiunto. La vita spirituale è una fioritura dall'interno, non un habitus sopraggiunto.

In 1 Cor 2,14 Paolo distingue l'uomo psichico dall'uomo spirituale. L'uomo all'inizio è psichico e in seguito diventa spirituale, quando giunge alla consapevolezza dell'azione dello Spirito. Quando? Quando la persona prende coscienza che Colui che la guida è più grande di lei. Nella fase narcisistica l'uomo crede d'essere il principio di sé e il centro di tutto. Solo quando si accorge di aver bisogno di un'offerta continua di vita, della grazia cioè, l'uomo può sviluppare la dimensione «spirituale». La grazia è l'azione di Dio già presente nell'uomo, ma solo quando l'uomo se ne rende conto e arriva alla consapevolezza della presenza di Dio può assumere un atteggiamento di accoglienza.

I processi di crescita si sviluppano nella persona, ma suppongono una tradizione culturale e sono sostenuti da strutture comunitarie. La nostra identità ci è offerta dagli altri e non esistono altri canali attraverso i quali possano pervenirci doni di vita se non i nostri rapporti, luogo esclusivo dell'azione creatrice. Ma le offerte vitali possono essere accolte solo attraverso processi attivi di assimilazione, che richiedono ampi spazi interiori.

Crescere perciò è imparare ad interiorizzare i doni «degli altri», di un Altro; è intrattenere rapporti intensi per accogliere tutte le offerte vitali che ci fanno diventare persona. In termini biblici si potrebbe utilizzare la metafora della «corsa che ci sta davanti» da correre «con perseveranza», «tenendo fisso lo sguardo su Gesù autore e perfezionatore della nostra fede» (Eb 12,2). Le conseguenze dell'assunzione di questo punto di vista sono notevoli. Sottolineo l'esistenza di svolte epocali, cambiamenti profondi. La metafora della venuta di Dio e delle venuta del Figlio dell'uomo si può riferire bene a queste svolte.

Quando parliamo di vita spirituale in sviluppo, si intende parlare della realtà umana non solo a livello individuale, ma anche sociale, e cioè della specie umana. Essa ha vissuto numerose svolte culturali che hanno introdotto dinamismi psichici nuovi.

L'emergere della dimensione spirituale

La dimensione spirituale comincia a svilupparsi quando emerge e si realizza una nuova consapevolezza e un nuovo controllo delle proprie azioni o nella presa di possesso della propria realtà. È un passaggio notevole, avvenuto in un determinato momento della storia umana, e nelle singole persone rappresenta l'ultima tappa della maturità. È difficile determinare questi passaggi sia per l'umanità che per le singole persone. Se la nostra umanità è da circa centomila o trecentomila anni sulla terra, la dimensione spirituale è molto più recente. La pratica religiosa appartiene ancora all'ambito psichico ed ha costituito l'ambiente in cui si è sviluppata la dimensione spirituale.

Essa emerge quando l'uomo prende coscienza di essere inserito in un processo più grande, di essere ambito della manifestazione di una energia più profonda, di una realtà trascendente e assume l'atteggiamento corrispondente, cioè l'atteggiamento di accoglienza. Questo vale per tutte le culture e le religioni. L'uomo spirituale afferma: «Non sono io a pensare, ma è il pensiero che in me cerca di esprimersi; non sono io ad amare, ma è il bene che in me cerca di diventare amore. Non sono io a volere, ma è la forza della vita che in me cerca di diventare desiderio, azione».

Le esperienze mistiche delle diverse religioni sono le espressioni di una vita spirituale giunta a maturità.

Le strutture di comunicazione commerciali, industriali, politiche, richiedono una nuova spiritualità. La difficoltà che l'umanità oggi prova è che ha strutture universali, ma non ha gli uomini spirituali che sappiano gestire queste strutture. Siamo in ritardo rispetto al cammino dello sviluppo umano, della tecnica e della scienza.

Oggi c'è una forte esigenza di spiritualità che non è esigenza di pratica religiosa. La pratica religiosa è necessaria, ma non è sufficiente. Si esige qualcosa di più: entrare cioè in sintonia con la forza creatrice che richiede un atteggiamento nuovo.

Siamo ad un svolta della storia umana che richiede novità psichica e spirituale. Umberto Galimberti sostiene che oggi l'uomo è inadeguato a vivere la stagione storica perché non è in grado di prevedere le conseguenze delle sue azioni. «E questa capacità venuta meno all'uomo d'oggi, che non è più in grado di "anticipare" e nemmeno di "immaginare" gli effetti ultimi del suo fare. In questa inadeguatezza il suo massimo rischio, così come nell' ampliamento della sua capacità di comprensione dello "smisurato" che lo attornia, la sua flebile speranza»  (U. GALIMBERTI, Psiche e Techne, Feltrinelli, Milano 1999, p. 715).

Per questo egli sostiene la necessità di un supplemento psichico. Credo che tutti siamo d'accordo su questo punto, precisando forse che il supplemento «psichico» richiesto è invece di natura spirituale. Occorre un supplemento di spiritualità.

La spiritualità, cioè gli atteggiamenti che corrispondono all'emergere della dimensione spirituale dell'uomo, di cui oggi c'è bisogno, è una spiritualità della relazione, vale a dire il passaggio dalla spiritualità dell'essere a quella della relazione (Lévinas ha scritto: Oltre l'essere): noi non siamo, ma diveniamo; siamo, ma il nostro essere è continuamente fatto dalla relazione, perché prima di me ci sono altri, da cui vengo. Questa è la dimensione spirituale della persona.

Una parabola di Gesù, riportata da Luca, esprime in modo plastico la differenza tra l'uomo psichico e l'uomo spirituale e fra le due corrispondenti spiritualità: la parabola del fariseo e del pubblicano che salgono al tempio a pregare (Lc 18, 9-14). Il fariseo ringrazia Dio per la bontà che egli può vantare: osserva la legge, paga le decime, è fedele alla moglie, realizza la giustizia. Eppure torna a casa non giustificato, cioè non in giusto rapporto con Dio. La ragione sta nel fatto che egli è centrato su se stesso. Pensa di essere principio del bene che compie: paga le tasse e fa i digiuni.

 

L'uomo spirituale invece è consapevole di non essere lui il principio della sua perfezione e della sua azione. Come Gesù che rimprovera il notabile che lo interpella con la formula 'maestro buono'. Gesù lo rimprovera: «Perché mi dici buono? Nessuno è buono se non uno solo: Dio» (Lc 18, 19; cfr. anche in Gv 5,19: il Figlio non fa nulla da sé...). Il pubblicano invece assume un atteggiamento di ascolto/accoglienza: «Abbi pietà di me peccatore». Per questo «tornò a casa sua giustificato» (Lc 18,14).

San Paolo, da parte sua, utilizza tre modelli diversi. Distingue l'uomo vecchio e l'uomo nuovo, l'uomo esteriore e l'uomo interiore, l'uomo psichico e l'uomo spirituale. Le tre formule hanno riferimenti culturali diversi, ma in pratica possono coincidere. Oggi si preferisce utilizzare la terza formula per indicare il cammino della maturità umana

Le dinamiche della vita spirituale

 La spiritualità di una persona è il complesso degli atteggiamenti e delle abitudini che consentono di intravedere la struttura simbolica delle cose e di mettersi con loro in sintonia tale da essere in grado di evitare, da una parte, la fuga dalla realtà, e, dall'altra, l'idolatria di cose o di persone. La vita spirituale si caratterizza secondo le modalità della fede, cioè il complesso degli ideali che guidano le decisioni operative di una persona.

La vita spirituale è costituita quindi dai processi di interiorizzazione dei doni che la persona riceve nel suo cammino di crescita all'interno di una tradizione culturale e religiosa per cui prende coscienza di essere inserita in un processo più grande di lei. Scopre quindi che ciò che è in gioco nella sua storia è molto più grande di lei. L'interiorità è per questo la caratteristica della vita spirituale. Non solo si sviluppa nel cuore dell'uomo come la vita psichica, ma in più è segnata dalla coscienza di una forza che fluisce dal di dentro e si dipana attraverso le molte dimensioni della persona.

Si potrebbe dire, in termini più cristiani, che è la vita guidata dallo Spirito. L' interiorità di una persona è la misura della capacità di accoglienza dei doni vitali offerti dagli altri ed è quindi lo spazio della vita spirituale. La maturità spirituale si qualifica per la capacità di assumere gli ideali e viverli in modo autonomo e interiore.

Per vita spirituale s'intende quindi il complesso dei meccanismi interiori che strutturano l'esistenza della persona umana consapevole della sua condizione di creatura, inserita in un processo cosmico e vitale come frammentaria espressione di una realtà immensa e quando, corrispondentemente, essa assume un atteggiamento di accoglienza delle offerte molteplici che la investono. La spiritualità acquista caratteristiche specifiche quando nasce dall'esperienza di fede in Dio e secondo le modalità particolari delle diverse religioni. Ma vi sono anche spiritualità laiche e persino atee che si differenziano non tanto per le qualità che esprimono, quanto per le ragioni che le fondano e le dinamiche che le alimentano.

Mentre nella vita biologica la persona si sente determinata dalle cose e dagli altri, e nell'ambito psichico si percepisce come soggetto, attivo, nello spazio spirituale essa avverte una presenza altra da , che fonda la sua realtà e rende possibile la sua consapevolezza e la sua azione. La persona percepisce di non essere lei stessa a conoscere, amare, agire, ma che una forza vitale la pervade e in lei si esprime. In altre parole, le dinamiche della vita spirituale rispondono alla consapevolezza di non essere il centro della realtà, ma di essere in relazione con un Altro.

Gli stimoli di vita e i doni di identità ci pervengono attraverso le altre creature, ma per l'uomo spirituale esse non ne sono la fonte, bensì lo spazio attraverso cui la vita si offre Per questo i gesti delle creature appaiono come simboli: esprimono un'azione e richiamano una realtà diversa dalla loro.

Potremmo delineare quattro tappe di questo cammino spirituale dal punto di vista formale:

  1. Io non sono, ma vivo in relazione con l'Altro.
  2. Egli è la realtà, la vita.
  3. La Vita entra nella mia esistenza.
  4. Io sono, esisto, ma in rapporto con l'altro.

1. lo non sono: è la consapevolezza del nulla; che noi non siamo. Notiamo che non si inizia dall' io, alla maniera di Descartes («cogito ergo sum»), ma con l' io non sono. Noi non siamo il bene, la verità, la giustizia, la vita ecc; siamo solo delle piccole limitate espressioni di una Realtà che ci precede e che ci fa essere. Siamo solo creature. Cosa c'è adesso in noi che provenga da noi e sia nostro definitivamente? Cosa abbiamo di nostro che non ci venga costantemente donato e che non stiamo ricevendo in questo stesso istante? Che cosa è in noi di bene, di verità, di vita, di giustizia, se non ciò che la vita è riuscita ad esprimere in noi o ciò che Dio è diventato in noi? Finché non giungiamo a questa consapevolezza, possiamo essere buoni, compiere opere buone, seguire la legge, ma non giungiamo a maturità, non diventiamo persone definitive, perché non si sviluppa la dimensione spirituale. Tutto ciò che siamo ci è dato, non è un diritto, ma un dono.

2. La Vita è: io non sono, ma Egli è. La consapevolezza del nostro nulla deve essere accompagnata dalla convinzione che la Vita mi precede, esiste già, che la realtà precaria e limitata esiste perché il Tutto l'alimenta e la sostiene. Altrimenti la consapevolezza del nulla sfocia nell'angoscia e apre la via alla depressione o al suicidio. Per questo l'esperienza religiosa o di valori assoluti è necessaria per lo sviluppo della vita spirituale. Nella sua passione Gesù ha vissuto questo passaggio dall' 1. al 2. Sarà possibile vivere bene la situazione negativa, esprimendo amore nell'ora del male? Sì. Egli è, Dio è nella mia vita, può entrare attraverso l'amore, la dedizione e il servizio gratuito di chi mi sta vicino.

3. La Vita entra nella mia esistenza: cioè si esprime in me, se io assumo l'atteggiamento di accoglienza che è la fede, è l'attesa di Dio. L'atteggiamento richiesto è quindi l'accoglienza, 1' ascolto fedele e obbediente (in ebraico non ci sono due verbi per ascoltare e obbedire, ma solo shemd) che mi fa esistere. Del resto già nel Medioevo si diceva: «Vere audiunt qui obcediunt»: solo facendo si comprende la Parola sentita. Occorre scoprire che il nuovo può emergere nella nostra esistenza e può esprimersi in forme inedite.

4. Io sono: è la conclusione del cammino. Io sono (esisto) nel rapporto con Dio. La fede ci fa accogliere l'azione di Dio anche nella situazione di morte. La vita spirituale conduce alla consapevolezza della identità, ma non è un'identità posseduta, è l'identità donata. Ci fa diventare persone, raggiungere l'identità definitiva. È l'identità del Figlio. Il Figlio cresce e arriva alla sua statura. Anche Gesù è diventato pienamente figlio nella sua pasqua (Rm 1,4 e Eb 5,8-10). «Io sono», l'ha detto anche Gesù più volte. È l'identità del Figlio che è costituita dall'azione di Dio in noi perché Dio è in noi. E noi che cosa siamo se non ciò che Dio è diventato in noi? Vengo costituito nella mia realtà istante per istante: sono ed esisto.

I mistici sono coloro che hanno anticipato, nei secoli scorsi, una realtà di vita che deve caratterizzare l'umanità. Tutti dobbiamo diventare mistici. Oggi è un'esigenza, questa. E più l'umanità avanza nella sua storia, più è necessaria questa consapevolezza. Siamo ambiti di una Realtà più grande. Per cui cominciamo a vivere alla presenza, consapevoli di questo. Io non sono, è, in me si esprime, io sono: acquisto il nome scritto nei cieli. Questo è il cammino spirituale. Questo vale per tutte le religioni.

Pervenire a maturità nella vita spirituale vuol dire: stabilire questo orizzonte di consapevolezza e un corrispondente atteggiamento di accoglienza. La preghiera è l'esercizio per mantenere la sintonia con l'Energia che ci investe, con l'Amore che ci avvolge, con la Presenza che in noi diventa vita. Se non diventa in noi pensiero, desiderio, azione, l'energia divina non esiste. La presenza creatrice in noi diventa azione storica, predicamentale. Nell'ordine della creazione c'è solo la nostra azione, non esiste l'azione divina, che in quanto tale resta trascendente.

In questa prospettiva non dobbiamo interpretare la chiamata a diventare figli di Dio come una voce che dall'esterno si pone di fronte a noi ed esige la nostra risposta. La chiamata è lo stimolo, l'offerta di tante possibilità, che in noi diventa desiderio, ancora impreciso, e scelta definitiva. La risposta è la chiamata che diventa azione creata. Se c'è egoismo e ci sono resistenze, la chiamata non riesce ad esprimersi bene. È la nostra risposta che configura la chiamata di Dio. La prima tentazione è di cominciare dalla fine: «Sarete come dei». È un inganno: l'illusione è di - essere già fatti. Non siamo capaci di amore, abbiamo bisogno di passare dalla fase del «non sono» a quella dell'«io sono».

(Carlo Molari, Per una spiritualità adulta, Cittadella 2007. pp.127-137)