Norma della predicazione è anzitutto la Scrittura: la teologia patristica l’ha evidenziato con grande enfasi contro la gnosi; Lutero ha dato a questa affermazione un accento nuovo ed ha decisamente sottolineato l’eminente chiarezza della sacra Scrittura, la quale è essa stessa il proprio interprete e non ha bisogno di nessun altro interprete. Il movimento biblico del secolo XX fu anch’esso sorretto da questa consapevolezza e il cammino della scienza storica sembrò fondare definitivamente su solide basi la tesi dell’univocità della Scrittura.
Oggi siamo giunti, in modo quasi sconcertante, ad una conclusione diversa dei fatti. Il problema ermeneutico investe tutta la Scrittura e nella disputa tra storici e ermeneutici nulla è rimasto della biblica chiarezza che brilla di luce propria. La varietà contrastante di una letteratura, cresciuta nei secoli, obbliga a porre un problema che ormai non può più essere risolto richiamandosi alla semplice norma, proposta da Lutero, per il quale la norma intima si decide domandandosi “che cos’è che spinge a Cristo”.
Resta ancora da ricordare la differenza esistente tra fonti e redazione, tra interpretazione ed interpretazione; ma, in particolare, la questione dell’unità tra il tempo di allora e il tempo di oggi: qui si fonda l’intero problema di una visione del mondo; sorge nuovamente quindi, il problema del criterio: a vista d’occhio questo problema si trasforma in porta aperta sia per pretesti apologetici, come per stravaganti modernizzazioni.
Se si pensa tutto ciò, si potrebbe perdere la speranza di ottenere dalla Scrittura una qualche indicazione sulla strada da seguire. Personalmente, malgrado questa giungla di problemi, io sono convinto che esista una reale univocità della Scrittura. È la sua “figura” di asserzione complessiva che risplende di luce propria: a chi legge con calma e pazienza tutta la Bibbia possono benissimo rimanere aperti molti problemi particolari, tuttavia egli impara presto a distinguere dove conduce e dove non conduce il suo cammino. Questa univocità, comunque presuppone per essere percepita la considerazione della figura della totalità; esige cioè la visione basata sulla totalità, derivata dal vivo legame esistente tra fede e Chiesa...
(cfr. J. Ratzinger, Dogma e predicazione, Queriniana Brescia 1973/2005, pag. 24-25)