Social network (reti sociali): voglia di condivisione
Mercoledì 24 maggio 2011 ebbe luogo il via il primo e-G8, la due giorni del G8 di Internet. Il giorno seguente i magnati di Internet si sono spostati a Deauville per il G8 “vero” per presentare un documento finale su cui però è stato difficile trovare un accordo.
Ovviamente si sono nuovamente scontrate le due visioni su Internet, quella dei governi: “Basta anarchia; Internet ha bisogno di regole” e quella degli e-guru, dall’altra parte della barricata, che non hanno nessuna voglia di farsi dare una regolata, sostenendo che Internet si regola già benissimo da solo.
Tra gli illustri presenti, da Eric Schmidt di Google a Jimmy Wales, il fondatore di Wikipedia e altri magnati della rete, anche il genietto di 27 anni Mark Zuckenberg, fondatore di Facebook, del quale riportiamo alcuni pensieri tratti dall’intervista pubblicata sul quotidiano La Stampa del 26 maggio 2011.
Il segreto del successo di Facebook? «In realtà sono due. Il primo è il grande pregio di Internet, quello di dare voce a tutti. Il secondo è la voglia, che abbiamo tutti,di condividere la nostra vita con i nostri amici e i nostri famigliari. È questa la miscela che continua ad attirare la gente su Facebook: potersi esprimere, e poterlo fare con chi ci interessa. È per tenermi in contatto con gli amici che ho creato Facebook all’università. Anche se poi l’impresa ha superato il quadro dell’università».
Facebook è un rischio per la privacy? «No, perché è la gente che decide quanto vuole rivelare di sé. Ognuno si dà i suoi limiti, che peraltro negli ultimi vent’anni sono molto cambiati. Vale la regola del passaparola: sono gli stessi utilizzatori a decidere cosa consigliare, poi vinca il migliore».
Quali saranno le tendenze del Web negli anni a venire? «Credo che la grande tendenza sarà ancora la condivisione, almeno per i prossimi cinque o dieci anni. Siamo all’inizio di Facebook, non alla fine. Credo che Facebook, come impresa, possa fare bene una o due cose. Ma apre spazi per altri…. C’è un’infinità di prodotti che possono essere ripensati in una chiave di condivisione. Penso ai giochi, e c’è chi ha già cominciato, ma anche alla musica, al cinema, ai libri…».
Facebook ha anche cambiato la storia, per esempio con le rivoluzioni arabe. «Il merito è della gente, non di Facebook. … Necessaria e sufficiente è stata la voglia di quei popoli di battersi per la loro libertà. Ma è lo stesso meccanismo di molti Paesi democratici dove i politici hanno pagine Facebook che permettono loro un dialogo diretto con i cittadini».
C’è chi dice che i social network sono una tendenza effimera. «No, perché la condivisione è una tendenza forte della nostra società. I mezzi cambiano, come, in sette anni e mezzo, è molto cambiato Facebook… Il modo di utilizzare il servizio diventa sempre più simile in tutto il mondo. Cambierà, invece, la tecnologia: nei prossimi cinque anni ci sarà molta più gente che andrà su Facebook con il telefonino piuttosto che con il computer».
Che cosa dirà domani ai Capi di Stato e di governo? «Che Internet dà alla gente il potere di scegliere. E che oggi siamo tutti connessi troppo strettamente perché qualcuno possa fare da solo».
Twitter nel 2009 consentì la «rivoluzione verde», quella iraniana, salutata come la prima «rivoluzione Twitter». Il quotidiano La Stampa titolò un articolo: «Le rivoluzioni corrono sul Web» [1]. I giovani iraniani avevano usato lo strumento web Twitter (da cinguettare, chiacchierare) per far sapere al resto del mondo cosa stava capitando nelle strade di Teheran - battendo spesso in tempestività persino la CNN - e per coordinarsi tra loro, scambiandosi con rapidità informazioni e avvertimenti.
Twitter, servizio lanciato nel 2006, permette di pubblicare gratuitamente e in tempo reale brevi messaggi di al massimo 140 caratteri, detti «tweet»: è un po’ come ricevere «sms» di amici, celebrità, giornalisti, politici… persino istituzioni come la Commissione europea. E nello stesso tempo è possibile comunicare ciò che si desidera. Chi è interessato sottoscrive il nostro flusso e riceve i messaggi, gli altri non vengono disturbati da messaggi non desiderati.
La rivoluzione iraniana purtroppo finì nel sangue: i «tweet» non fermano le pallottole, gli arresti e le torture. Internet può essere oscurato dai governi o utilizzato per individuare proprio su Facebook e Twitter i dissidenti. Tuttavia disporre di strumenti di comunicazione gratuiti, facili da usare (basta un cellulare) è estremamente rilevante. I molti elementi alla base di una protesta democratica (decenni di oppressione, desiderio di libertà e di una vita migliore, coraggio, capacità di organizzarsi, spirito di sacrificio e solidarietà) vengono concretamente rafforzati dalla possibilità di comunicare rapidamente e liberamente, attraverso quelle connessioni deboli – gli amici di amici – di cui la sociologia ha spesso sottolineato il peso.
Rimangono certamente problemi aperti sulla libertà di Internet: come garantire l’anonimato online, come evitare che queste piattaforme cedano a richieste indebite dei governi, anche democratici (come ha dimostrato il caso Wikileaks), e come impedire che qualcuno possa avere il potere di spegnere Internet.
I forum, i social network e altri strumenti virtuali pongono il problema dell’identità dei partecipanti delle community e dei giochi di ruolo che possono generarsi [2]. Non si può mai sapere «davvero» chi sta dall’altra parte. È stato recentemente scoperta la «bufala» di Amina, la blogger gay siriana perseguitata a Damasco: si trattava invece un barbuto attivista politico americano residente in Scozia.
Si stanno osservando anche i comportamenti dei giovanissimi: pare che un minore su quattro, specie se non lega con i coetanei, tenda ad evitare il confronto diretto e preferisca raccontarsi online. Questo tentativo di «fuga dalla realtà» chiama in causa gli educatori, ma soprattutto i genitori, chiamati a discutere e condividere con i figli quello che fanno online.
Avevamo già sottolineato nell’ultimo articolo, a cui rimando, come gli orientamenti pastorali della CEI per gli anni 2010-2020 - Educare alla vita buona del Vangelo – siano incentrati sull’educazione ad entrare nel mondo delle nuove tecnologie , a percorrerlo e a maneggiarlo con padronanza, verità, serietà e coscienza di sé. Questo ha a che fare con la missione della Chiesa.
[1] Cfr. La Stampa del 19 febbraio 2011, da cui abbiamo attinto alcuni tratti.
[2] Cfr. A. Silvestri, La luce e la rete. Comunicare la fede nel Web, ed. Effatà.
Comunità virtuali o reali?
Alcuni tragici fatti del 2010 ci fanno riflettere sull’uccidersi, o tentare di farlo, per Facebook.
In un caso, gridando la propria disperazione nella piazza virtuale rimanendo inascoltati. Nell’altro, perché non si sopporta la vergogna di essere stati messi in quella piazza dai compagni, e non si accettano le conseguenze delle proprie azioni.
Aveva solo 17 anni un ragazzo di San Donà di Piave che ha annunciato su Facebook di volersi gettare nel Piave, e due ore dopo lo ha fatto davvero. «Basta, sono stanco di tutto e tutti - aveva scritto sul suo profilo -. Non mi fido più di nessuno, mi fa troppo schifo vivere così e ci sono troppo dentro per venirne fuori». Oggi tutti a chiedersi perché non avevano capito l’'imminente tragedia.
A distanza di una manciata di ore, un altro ragazzo fragile, 14 anni appena e un ottimo profilo di studente, ha tentato il suicidio a Genova gettandosi dalla finestra della sua abitazione, a causa dei rimproveri per alcune foto scattategli in aula mentre sbeffeggiava la professoressa e messe su Facebook dai compagni. Immagini che hanno fatto il giro delle Rete in poche ore. Non ha retto allo sconforto e alla vergogna ed ha deciso di compiere il gesto assurdo poche ore più tardi.
Quello di San Donà era il terzo suicidio di un adolescente annunciato su Facebook in pochi mesi. L'ultimo, sempre in Veneto, era di un diciassettenne, studente modello, che si era sparato dopo averlo annunciato sul suo profilo. «Non reggo il male di vivere, non ce la faccio più», le sue ultime parole, seguite all’iscrizione al macabro gruppo “Che ne dici di farla finita?”, che ha per logo l'immagine di una pistola. Alcuni mesi prima, un quindicenne di Torre del Greco, già tre giorni prima del suicidio aveva lasciato frasi del tipo «Sto arrivando all’aldilà». Segnaliche non sono stati captati da nessuno: né dai genitori, ignari del profondo disagio psicologico del ragazzo, e neppure dagli amici di scuola [1].
Il sociologo Giuseppe Romano, commentando i tragici fatti,spiega che i social network sono spazi concreti dove avvengono e si dicono cose vere. Per questo anche lì è urgente educare alla responsabilità. Credere che ciò che accade su Facebook, ad esempio, non sia realtà significa non rendersi conto che tutto quello che viene messo in comune, “condiviso”, diventa pubblico, assumendo un significato diverso e più ampio, sociale.
La radice va ricercata nella mancata consapevolezza del peso di ciò che succede in Rete, di ciò che si dice, si ascolta, si discute nei social network. Tutto ciò è realtà. Si parla di “realtà virtuale”, come se ciò che accade online fosse astratto, come se la Rete fosse un luogo in cui non esistono leggi o responsabilità. Il ragazzo di Genova è arrivato a tentare il suicidio perché non pensava che il suo gesto,riportato su Facebook, potesse avere simili conseguenze nella realtà. Gli altri ragazzi hanno urlato il loro dolore online, ma evidentemente nessuno ha pensato che si trattasse di un grido reale, qualcosa che potesse avere conseguenze nella vita concreta. Il problema è che spesso non viene riconosciuta a Internet la sua vera potenzialità, la sua dimensione sociale concreta, e nemmeno l'importanza di quelle regole di responsabilità che in ogni contesto sociale e di relazioni debbono esistere.
Occorre che lo comprendano gli adulti per primi, e lo insegnino ai ragazzi, spiegando che non è più “mio” quello che metto in comune. Troppo spesso viene sottovalutato l'aspetto pubblico di ciò che avviene in Rete: non esiste più un’area di gioco o di azione privata; ciò che si dice viene ripetuto, tutti ne parlano, tutti lo ascoltano o - come drammaticamente avvenuto - nessuno lo ascolta. Ma di nuovo sta lì, nella piazza della realtà, e come tale ha un peso [2].
Anche Benedetto XVI denuncia come possibile punto cieco di Internet l’illusione che il mondo della Rete non sia davvero reale. Il cortocircuito facile e fasullo asserisce che esistano due vite: quella “reale” e quella “virtuale”. È falso, come fin troppo spesso mostrano le vittime di aggressioni, raggiri e violenze maturati a partire dall’ambito digitale. La vita è una sola; anche nella rete ci portiamo appresso personalità e responsabilità. La realtà virtuale non esiste, esiste soltanto quest’unica vita di ciascuno e di tutti, di qua e di là dello schermo.
E in questo cortocircuito che trovano spazio, dunque, tragedie simili? Sì. E ovviamente in quello che il cortocircuito genera: se infatti non viene riconosciuta a Internet la sua potenzialità reale,
la sua dimensione sociale concreta, non si riconosce nemmeno l'importanza di quel-le regole di civiltà e di responsabilità che in ogni contesto sociale e di relazioni debbo-no esistere. In questo senso, purtroppo, Facebook è rimasto proprio fermo a quello che significa il suo nome: un "libro-faccia", in cui si spiattellano informazioni, gossip, segreti ma in cui non esiste un'interazione matura, in cui non c'è ombra di tunànità e di rispetto.
Cosa fare, dunque, per prevenire gesti estremi?
Capire, noi adulti per primi, che ciò che avviene online ha un'eco reale oltre che tecnologico. E poi insegnarlo ai ragazzi, spiegando anche che non è più "mio" quello che metto in comune. Anche l'aspetto pubblico di ciò che avviene in Rete troppo spesso viene sottovalutato: con evidenza non esiste più un'area di gioco o di azione privata, ciò che si dice viene ripetuto, tutti ne parlano, tutti lo ascoltano o - come drammaticamente nel caso veneto - nessuno lo ascolta. Ma di nuovo sta lì, nella piazza della realtà, e come tale ha un peso.
Di un altro punto critico se ne èparlato a maggio 2011 nel convegno Abitanti digitali.
Il 12 marzo 2011, all’aeroporto di Francoforte, Arid Uka, un ragazzo musulmano d’origine albanese che vive in Germania, compie una strage terroristica contro un bus dell’aviazione americana. Il ragazzo confessa di aver agito dopo aver visto su YouTube un video che testimonia lo stupro di alcuni soldati statunitensi su una ragazza in Iraq. Dopo quattro giorni il magazine Spiegel tv scopre che il filmato è una sequenza del film «Redacted» di Brian de Palma. Ma la sequenza choc è stata inserita sul web senza alcun riferimento al film, dando vita a segmenti di racconto decontestualizzati.
Ruggero Eugeni, docente di semiotica dei media all’Università Cattolica di Milano, spiega che una delle trasformazioni che le dimensioni dello spazio e del tempo hanno avuto su Internet è l’essere accompagnate da forme narrative deboli, magari estrapolate dal contesto.
Altri caratteri salienti dell’esperienza web sono l’immediatezza, che concentra tutto su una «finestra del presente» e la «messa in scena del sé attraverso l’intimità esposta e pubblica, seppur variamente graduata». Ecco perché occorre «educare alla consapevolezza del tempo e dello spazio in Rete». Se davanti al computer le due dimensioni sono vissute come ambiti «della relazione» e «le contrapposizioni tra virtuale e reale, oppure locale e globale tendono ad eclissarsi», allora serve un ripensamento e una riflessione dell’esperienza relazionale immediata perché l’incontro via web sia «funzionale a un progetto di umanesimo integrale»[3].
Nel grande mare del Web, è bello far nostra la preghiera dell’internauta di Patrizio Righero:
Ti ringrazio, Signore, per questo spazio immenso, per questa vita a colori, per questi incontri che forse non sono così casuali. Tuttavia, Signore, ti chiedo di non lasciarmi affogare».
[1] Cfr. F. Dal Mas e D. Frambati, Facebook e suicidi: ragazzi nel baratro, in Avvenire, 22 maggio 2010.
[2] Cfr. V. Daloiso, La vita della Rete? È realtà, in Avvenire, 22 maggio 2010.
[3] Cfr. G. Gambassi, Eugeni: nella Rete c’è la necessità di educare alla consapevolezza del tempo e dello spazio, in Avvenire, 20 maggio 2011.
Un Papa che parla in digitale
L'evoluzione del Web da Giovanni Paolo II a Francesco
Alla vigilia del primo anniversario dell’elezione di papa Francesco, l’associazione WebCattolici ha invitato, mercoledì 12 marzo, per la quarta diretta del suo percorso “La Rete: Come Viverla” anche mons. Lucio Adrian Ruiz, responsabile del Servizio Internet Vaticano, per raccontare l’evoluzione, i cambiamenti e il continuo divenire della Rete.
Un racconto a partire dal sito a cui fa riferimento tutta la presenza cattolica sul Web: il portale della Santa Sede www.vatican.va nato il giorno di Natale dell’ormai lontano 1995 con la pubblicazione del messaggio Urbi et Orbi di papa Giovanni Paolo II. Sulle “doti” digitali di papa Francesco mons. Ruiz, argentino come il Pontefice, ha aggiunto: «Bergoglio ci ha colpito tutti con le sue carezze, i suoi abbracci, il suo sorriso, quel suo pollice in su. Meraviglia questo modo di rapportarsi con la gente, capace di trasmettere il Vangelo anche con il corpo, con lo sguardo, con una parola semplice. Quando parla, è più veloce di Twitter. Il suo stesso modo di parlare è un “twittare”. Parla già in digitale: i suoi messaggi, comprensibili e immediati, arrivano immediatamente al cuore di tutti. I fedeli con il telefonino fotografano i suoi gesti e trasmettono le sue parole in pochi istanti in tutto il mondo». Mons. Ruiz ha contestualmente evidenziato la portata storica del messaggio di papa Benedetto, il primo papa della storia con un account su un social network: «Mi piace altresì ricordare la forza del magistero di Benedetto: nei suoi messaggi per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali ha parlato di continente digitale, nativi digitali, nuovo linguaggio, nuova cultura. Parole che ricordano per forza la scoperta dell’America: se c’è infatti un nuovo continente, una nuova cultura e una nuova lingua allora ci devono anche essere nuovi missionari, un nuovo mandato, un nuovo dovere di evangelizzare». Mons. Ruiz ha dunque evidenziato la completa continuità del magistero espresso con linguaggi differenti. (a cura di WebCattolici, Roma 13 marzo 2014)