Dio non è uno spray
«Parlare con Dio è come parlare con delle persone: il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo. Perché questo è il nostro Dio, uno e trino; non un Dio indefinito e diffuso, come uno spray sparso un po’ ovunque... Egli ci dice di credere in lui. Ma prima ci dice anche un’altra cosa: ‘Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre che mi ha mandato’. Andare da Gesù, trovare Gesù, conoscere Gesù è un dono del Padre. E’ un dono.
La fede è un dono. Un dono che abbiamo ricevuto nel battesimo ma che poi deve svilupparsi nella vita, svilupparsi nel cuore, svilupparsi nelle opere che facciamo. La fede è un dono, e chi ha questa fede ha la vita eterna. Possiamo domandarci: ‘Abbiamo fede?’. ‘Sì, sì: io credo in Dio’. ‘Ma in quale Dio tu credi?’. ‘Mah, in Dio!’. Quante volte sentiamo questo ‘in Dio’. Un dio diffuso, un dio-spray, che è un po’ dappertutto ma non si sa cosa sia. Noi crediamo in Dio che è Padre, che è Figlio, che è Spirito Santo. Noi crediamo in persone, e quando parliamo con Dio parliamo con persone: o parlo con il Padre, o parlo con il Figlio, o parlo con lo Spirito Santo. E questa è la fede».
Una chiamata per una duplice missione
“Gesù ne costituì dodici che stessero con lui e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni” (Mc 13-15).
Gesù chiama chi vuole e questi vanno da lui. Gesù li chiama per una duplice finalità, per una duplice missione:
(a) Stare con lui, cioè formare comunità di cui lui, Gesù, è l’asse.
(b) Predicare ed avere potere per scacciare i demoni, cioè annunciare la Buona Novella e combattere il potere del male che distrugge la vita e aliena le persone.
Marco dice che Gesù sale su una montagna, ... e lì pregò tutta la notte e, il giorno dopo, chiamò i suoi discepoli. Pregò Dio per sapere chi scegliere (Lc 6,12-13). Dopo averli chiamati, Gesù rese ufficiale la scelta fatta e creò un nucleo più stabile di dodici persone per dare più consistenza alla missione.
Anche per significare la continuità del progetto di Dio. I dodici apostoli del NT sono i successori delle dodici tribù d’Israele.
Nasce così la prima comunità del Nuovo Testamento, comunità modello che va crescendo attorno a Gesù lungo i tre anni della sua attività pubblica. All’inizio, sono appena quattro (Mc 1,16-20). Poi la comunità cresce nella misura in cui aumenta la missione nei villaggi della Galilea. Arrivano al punto di non avere tempo per mangiare e per riposare (Mc 3,2). Per questo, Gesù si preoccupa di dare un riposo ai discepoli (Mc 6,31) e di aumentare il numero dei missionari e delle missionarie (Lc 10,1). Così, Gesù cerca di mantenere il duplice obiettivo della chiamata: stare con lui ed andare in missione. La comunità che si forma attorno a Gesù ha tre caratteristiche fondamentali che appartengono alla sua natura: è formatrice, è missionaria ed è inserita in mezzo ai poveri della Galilea. (dal sito www.o-carm.org dell'ordine dei Carmelitani)
Anche Benedetto XVI nel viaggio apostolico in Germania, in un discorso del 24 settembre 2011 ai seminaristi, commenta questa importante scelta narrata dall'evangelista Marco:
“ … mi colpisce sempre più di tutto il modo in cui san Marco, nel terzo capitolo del suo Vangelo, descrive la costituzione della comunità degli Apostoli: “Il Signore fece i Dodici”. Egli crea qualcosa, Egli fa qualcosa, si tratta di un atto creativo. Ed Egli li fece, “perché stessero con Lui e per mandarli” (cfr Mc 3,14): questa è una duplice volontà che, sotto certi aspetti, sembra contraddittoria. “Perché stessero con Lui”: devono stare con Lui, per arrivare a conoscerlo, per ascoltarlo, per lasciarsi plasmare da Lui; devono andare con Lui, essere con Lui in cammino, intorno a Lui e dietro di Lui. Ma allo stesso tempo devono essere degli inviati che partono, che portano fuori ciò che hanno imparato, lo portano agli altri uomini in cammino – verso la periferia, nel vasto ambiente, anche verso ciò che è molto lontano da Lui. E tuttavia, questi aspetti paradossali vanno insieme: se essi sono veramente con Lui, allora sono sempre anche in cammino verso gli altri, allora sono in ricerca della pecorella smarrita, allora vanno lì, devono trasmettere ciò che hanno trovato, allora devono farLo conoscere, diventare inviati. E viceversa: se vogliono essere veri inviati, devono stare sempre con Lui. San Bonaventura disse una volta che gli Angeli, ovunque vadano, per quanto lontano, si muovono sempre all’interno di Dio. Così è anche qui: ... dobbiamo uscire fuori nelle molteplici strade in cui si trovano gli uomini, per invitarli al suo banchetto nuziale. Ma lo possiamo fare solo rimanendo sempre presso di Lui. Ed imparare ciò, questo insieme di uscire fuori, di essere mandati, e di essere con Lui, di rimanere presso di Lui... Il modo giusto del rimanere con Lui, il venire profondamente radicati in Lui – essere sempre di più con Lui, conoscerLo sempre di più, sempre di più non separarsi da Lui – e al contempo uscire sempre di più, portare il messaggio, trasmetterlo, non tenerlo per sé, ma portare la Parola a coloro che sono lontani e che, tuttavia, in quanto creature di Dio e amati da Cristo, portano nel cuore il desiderio di Lui.
Cardinal Jorge Mario Bergoglio: un cardinale ... vicino ai lontani.
(Omelia del Cardinale Jorge Mario Bergoglio per la Messa di chiusura dell’Incontro 2012 della Pastorale Urbana della Regione di Buenos Aires. Traduzione churchadvisor, ci scusiamo per eventuali imprecisioni)
“L’ascolto della parola mi ha fatto sentire tre cose: vicinanza, ipocrisia e mondanità. La prima lettura dice: “Esiste una nazione così grande da avere i loro dèi vicino a loro, come il Signore nostro Dio è vicino a noi?”. Il nostro Dio è un Dio che si avvicina. Un Dio che si fa vicino. Un Dio che si mise a camminare con il suo popolo e in seguito divenne uno dei suo popolo in Gesù Cristo per farsi vicino. Ma non con una vicinanza metafisica, ma con una vicinanza che è quella che descrive Luca quando va a curare la figlia di Giairo, che la gente affollava fino a soffocarlo mentre la povera vecchia da dietro vuole toccare il lembo della sua veste. Con la vicinanza della folla che voleva mettere a tacere alle porte di Gerico il cieco che con le grida voleva farsi sentire. Con quella vicinanza che ha incoraggiato quei dieci lebbrosi a chiedergli di mondarli. Gesù era dentro la cosa. Nessuno voleva perdere quella vicinanza, incluso il piccoletto che era salito sul sicomoro per vederlo.
Il nostro Dio è un Dio vicino. Ed è speciale: guariva, faceva del bene. San Pietro lo dice bene: “Passava beneficando e risanando”. Gesù non faceva proselitismo: accompagnava. E le conversioni che otteneva erano precisamente per il suo atteggiamento di accompagnare, insegnare, ascoltare, fino al punto che la sua condizione di non proselitista lo porta a dire: “Se anche voi volete andarvene, non perdete tempo. Voi avete parole di vita eterna, noi rimaniamo”. Il Dio vicino, vicino alla nostra carne. Il Dio dell’incontro che va all’incontro con il suo popolo. Il Dio che – uso una parola nella della Diocesi di San Justo -: il Dio che mette il suo popolo in una situazione di incontro.
E con quella vicinanza con questo camminare, crea quella cultura dell’incontro che ci fa fratelli, che ci fa figli, e non membri di una ONG o una proseliti di una multinazionale. Vicinanza. Questa è la proposta.
La seconda parola è “ipocrisia”. Mi colpisce il fatto che Marco, sempre così conciso, così breve abbia dedicato tanto a questo episodio – e contando che in che questa versione liturgica è stato tagliato ed è ancora più lungo – sembra essere spietato con coloro che si fanno lontani, con quelli che il messaggio della vicinanza di Dio, che viene a camminare con il suo popolo, che si è fatto uomo perchè ci sia uno in più a camminare, hanno preso questa realtà, la hanno distillata lungo le loro tradizioni, la hanno fatto una idea, la hanno fatto un puro precetto e la hanno allontanato dalla gente. Gesù li accusa di fare proselitismo.
Voi viaggiare mezzo mondo per cercare un proselito per poi ucciderlo con tutto questo. Allontanano la gente. Quelli che si scandalizzavano quando Gesù andava a mangiare con i peccatori, con i pubblicani, Gesù dice loro: “i pubblicani e le prostitute vi precederanno”, che era il peggio di quell’epoca.
(…) Sono loro che hanno clericalizzato – per usare una parola che si capisca – la Chiesa del Signore. La riempiono di precetti, con dolore lo dico, e se sembra una denuncia o un’offesa, mi perdonino, ma nella nostra regione ecclesiastica ci sono sacerdoti che non battezzano i figli delle madri non sposate perché non sono stati concepiti nella santità del matrimonio. Questi sono gli ipocriti di oggi. Quelli che hanno clericalizzato la Chiesa. Quelli che allontanano il popolo di Dio dalla salvezza. E quella povera ragazza che, potendo rimandare suo figlio al mittente, ha avuto il coraggio di farlo venire al mondo, se ne va girando di parrocchia in parrocchia perchè lo battezzino.
A questi che cercano proseliti, i clericali, che clericalizzano il messaggio, Gesù indica il cuore, dice loro: “Dai vostri cuori escono le cattive intenzioni, le fornicazioni, i furti, gli omicidi, gli adultèri, le avidità, le malvagità l’inganno, le disonestà, l’invidia, la diffamazione, la superbia, stoltezza… “. Fior fiore di complimenti,eh? Così li scredita. Li denuncia. Clericalizzare la Chiesa è ipocrisia farisaica. La Chiesa del “vengano dentro, che diamo delle regole qua dentro e ciò che non entra non c’è” è fariseismo.
Gesù ci insegna l’altra strada: uscire. Uscire a dare testimonianza, uscire ad interessarsi del fratello, uscire a condividere, uscire a chiedere. Incarnarsi.
Contro lo gnosticismo ipocrita dei farisei, riappare Gesù in mezzo alla gente, tra pubblicani e peccatori.
La terza parola che mi ha toccato è la fine della Lettera di Giacomo: non contaminarsi con il mondo. Perché se il fariseismo, questo “clericalismo” tra virgolette ci fa male, anche la mondanità è uno dei mali che corrodono la nostra coscienza cristiana. Questo ce lo dice Giacomo, non contaminatevi con il mondo. Gesù nel suo addio, dopo cena, chiede al Padre di salvarlo dallo spirito del mondo. E’ la mondanità spirituale. Il danno peggiore che può capitare alla Chiesa: cadere nella mondanità spirituale. In questo sto citando il cardinale de Lubac. Il danno peggiore che può capitare alla Chiesa ancora peggio dei papi libertini di un’epoca. Questa mondanità spirituale di fare ciò quello che viene preso bene, essere come i più, in una parola una “borghesia dello spirito, degli orari, di stare bene, dello status: sono cristiano, sono consacrato, consacrata, sacerdote. Non contaminatevi con il mondo, dice Giacomo.
No all’ipocrisia. No al clericalismo ipocrita. No alla mondanità spirituale. Perché questo è dimostrare che uno è più un imprenditore che un uomo del Vangelo. Sì alla vicinanza. Camminare con il popolo di Dio. Avere tenerezza specialmente con i peccatori, con coloro che sono più lontani, e sapere che Dio vive in mezzo a loro.
Che Dio ci conceda la grazia della vicinanza, che ci salva da ogni atteggiamento affaristico, mondano, proselitista, clericale, e ci avvicina al percorso di Lui, camminare con il santo popolo fedele do Dio.
Così sia. Il Cardinale Jorge Mario Bergoglio S.J. - Buenos Aires, 2 set 2012
La vera povertà: pancia piena e cuore vuoto
Padre Gonzalo Aemilius lavora tra i ragazzi di strada del suo Paese, li accoglie, li aiuta ad uscire dalla malavita e dalla droga cercando di strapparli alla strada e a una vita speranza per farli studiare perché possano avere un futuro migliore.
Lui proviene da una famiglia molto agiata di Montevideo: nonna ebrea e genitori non credenti. Durante il liceo è stato colpito dal sorriso e dalla serenità dei preti che lo guidavano, nonostante le continue minacce di morte che ricevevano per il loro impegno a favore dei ragazzi. Fu lì che ha maturato la scelta di abbracciare il sacerdozio per dedicarsi ai ragazzi poveri e abbandonati del suo Paese, e il suo lavoro lo aveva messo diverse volte in contatto con il Cardinal Bergoglio, che ha orientato la sua vita. ...».
P. Gonzalo ha anche fatto un'affermazione forte, che ci conferma nella nostra missione di lavorare per i «più poveri»: «la vera povertà oggi è la solitudine, quella che nasce dalla pancia piena ma dal cuore vuoto».
Le ultime parole di Bergoglio prima del conclave
È opinione diffusa che l'intenzione di eleggere papa Jorge Mario Bergoglio crebbe sensibilmente tra i cardinali la mattina di sabato 9 marzo, quando egli intervenne nella penultima delle congregazioni – coperte da segreto – che precedettero il conclave. (vedere il testo «Evangelizzare le periferie»).). Le sue parole fecero colpo su molti. Bergoglio parlò a braccio. Ma ora di quelle sue parole abbiamo il resoconto scritto a mano dallo stesso autore. A rendere pubblico l'intervento di Bergoglio è stato il cardinale dell'Avana Jaime Lucas Ortega y Alamino. Il cardinale Ortega ha raccontato che dopo l'intervento di Bergoglio nel preconclave si era avvicinato a lui chiedendogli se aveva un testo scritto da poter conservare. Bergoglio rispose che al momento non l’aveva. Ma il giorno dopo – ha raccontato Ortega – "con delicatezza estrema" gli consegnò "l’intervento scritto di suo pugno tale come lo ricordava". Ortega gli chiese se poteva diffondere il testo e Bergoglio disse di sì. Il cardinale dell’Avana rinnovò la richiesta il 13 marzo dopo la fine del conclave, quando l’arcivescovo di Buenos Aires era stato eletto alla cattedra di Pietro. E papa Francesco rinnovò la sua autorizzazione.
Nell'appunto di Bergoglio si riconoscono alcuni tratti ricorrenti nella sua iniziale predicazione da papa. La "mondanità spirituale" come "il male peggiore della Chiesa". Il dovere della Chiesa di "uscire da se stessa" per evangelizzare le "periferie non solo geografiche ma esistenziali". Come già in altre occasioni, anche qui Bergoglio riprende l'espressione "mondanità spirituale" dal gesuita Henri De Lubac, uno dei più grandi teologi del Novecento. Nel suo libro "Meditazioni sulla Chiesa", De Lubac definisce la mondanità spirituale "il pericolo maggiore, la tentazione più perfida, quella che sempre rinasce insidiosamente quando tutte le altre sono state vinte, alimentata anzi da queste stesse vittoria". "Se questa mondanità spirituale invadesse la Chiesa e operasse per corromperla attaccandola nella sua stessa origine, sarebbe infinitamente più disastrosa di qualsiasi altra mondanità semplicemente morale. Ancora peggio della lebbra infame che, in certi momenti della storia, sfigurò così crudelmente la Sposa amata [la Chiesa - ndr], quando la fregagione sembrava collocare lo scandalo nel suo stesso santuario e, rappresentata da un papa libertino, occultava il volto di Cristo sotto pietre preziose, belletti e spie… Un umanesimo sottile nemico del Dio vivente – e, in segreto, non meno nemico dell'uomo – può stabilirsi in noi attraverso mille sotterfugi". Questa citazione di De Lubac è in evidenza in un articolo che Bergoglio scrisse nel 1991, ripubblicò e consegnò nel 2005 ai fedeli e ai cittadini di Buenos Aires, di cui era divenuto arcivescovo, e ora ricompare nel primo dei libri stampati in Italia con i testi del nuovo papa antecedenti la sua elezione, col titolo: "Guarire dalla corruzione". Un'altra citazione significativa dell'appunto di Bergoglio è là dove addita i pericoli della Chiesa quando cessa di essere "mysterium lunae". Il "mistero della luna" è una formula a cui i Padri della Chiesa ricorrono fin dal II secolo per suggerire quale sia la vera natura della Chiesa e l'agire che le conviene: "come la luna, "la Chiesa splende non di luce propria, ma di quella di Cristo" ("fulget Ecclesia non suo sed Christi lumine"), dice sant’Ambrogio. Mentre per Cirillo d’Alessandria "la Chiesa è circonfusa dalla luce divina di Cristo, che è l’unica luce nel regno delle anime. C’è dunque una sola luce: in quest’unica luce splende tuttavia anche la Chiesa, che non è però Cristo stesso".
Cfr. Chiesa, Espresso online di Sandro Magister, 27 marzo 2013).