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Io sono la vite, voi i tralci.
Chi rimane in me, e io in lui,
porta molto frutto,
perché senza di me
non potete far nulla
(Giovanni 15,5)

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Briciole di luce 02-2017

Una strada nel deserto 

Or Gesù, pieno di Spirito Santo, ritornò dal Giordano, ed era condotto nello Spirito nel deserto, per quaranta giorni, essendo messo alla prova dal Calunniatore (Luca)

Gesù va nel deserto a tracciare una strada per tutti quelli che il Padre suo gli invierà; nessuno di questi si perderà (v. Giovanni 18:9). Il cammino nel deserto è il cammino del cristiano; è il cammino in cui l’uomo vecchio digiuna e l’uomo nuovo si nutre di manna nascosta (v. Apocalisse 2:17). Nel deserto non c’è nulla che possa piacere all’uomo vecchio, non c’è nessuna opera umana che possa destare la meraviglia degli occhi, non ci sono melodie né dolcezze, soprattutto non c’è nulla che l’uomo vecchio possa fare in vista della vita.

Ecco il grande compito del deserto: abituare la nostra vista al cielo. Solo nel deserto possiamo imparare a scorgere i messaggi dell’alto, a leggere le parole che un giorno senza voce affida a un altro giorno, a riconoscere l’annuncio che la notte a un’altra notte trasmette. Sapremo alla fine udire le parole che narrano della gloria di Dio e dicono dell’opera delle sue mani (v. Sal 19:2-3) (pp. 12,16).

 “... Ritornò dal Giordano”; Gesù, dunque, non “andò oltre il Giordano” ma “ritornò”, si volse indietro, ripercorrendo i propri passi. Il deserto nel quale Gesù si inoltra non è dunque fuori ma dentro i confini di Israele, è un deserto “interiore”, è il deserto dell’uomo.

Gesù si inoltra nel deserto di Giuda, un deserto sassoso e inospitale. Il greco eremos traduce l’ebraico midbar, che designa un luogo di solitudine e di desolazione in cui vagano animali selvaggi.

Cosa simboleggia questo deserto situato nel cuore stesso di Israele, nel cuore della terra del latte e del miele? Israele è il simbolo del giardino di Dio piantato in Eden. Adamo uscito da questo giardino si tenne nelle sue prossimità e, secondo la tradizione ebraica, morì proprio davanti al suo ingresso, sul monte Moriàh. Su questo monte sorgeva il Tempio, posto di fronte al Golgota, che con la sua forma a teschio indicava l’ingresso del giardino e la temporanea vittoria della morte sulla vita. La morte infatti custodiva ormai l’accesso all’albero della vita.

Gesù, il secondo Adamo, entra nel deserto ed esplora così quel che resta dell’antico giardino. Non vi sono più frutti, nei fiumi, né frescura; tutti gli alberi sono stati tagliati, sono serviti per fare strumenti di morte.

Eden vuol dire delizie; ora, il luogo delle delizie è il cuore, luogo dell’amore e della vita. L’uomo non ha custodito il suo cuore; una parola di menzogna vi è penetrata, spandendovi paura e morte. Là, dove era cibo in abbondanza ora vi sono pietre, dove era il canto degli uccelli ora strisciano silenziosi serpenti. Il deserto è il cuore dell’uomo non visitato da Dio. L’entrata di Gesù nel deserto simboleggia dunque l’entrata nel cuore dell’uomo, in un cuore diventato da lungo tempo dimora della civetta e del corvo (v. Is. 34:11), un cuore che, pari a civetta, vive nell’oscurità, e che, pari a corvo, si nutre di conoscenze morte. Gesù è la Parola di Verità che ritorna “nel Vento della sera” (Gn. 3-8) (pp.17-19).

 Uscito dall’acqua, Gesù va; va dove il Vento soffia, scomparendo, oltre le prime alture, nella parte più inospitale del paese.

È con gioia che Gesù affronta questo cammino; lo Spirito lo avvolge, lo separa dal resto del mondo. Il suo andare sembra piuttosto un correre, sembra l’uscita di Israele dalle acque del Mar Rosso.

Gesù, uscito dalle acque, non ha nulla con sé; si è spogliato delle sue “vesti”, delle vesti che indossava nel mondo, della sua identità e, con la sola Parola del Padre: “Tu sei il mio diletto figliolo, oggi ti ho generato” (Sal 2:7), “Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto” (Mc 1:9), va ove nessuno sa. Gesù è nato dall’acqua, il Padre lo ha dichiarato Figlio; è nato dallo Spirito, e dallo Spirito è portato via (v. Gv 3:8). Gesù solo può dunque entrare nel regno di Dio. Del primo Adamo è scritto che “il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden (Gn 2:15); del secondo Adamo i Vangeli raccontano che fu condotto nel deserto. Il regno di Dio è un deserto; tale infatti appare, se visto con occhi umani. Nessun uomo può desiderarlo se prima non rinasce d’acqua e di Spirito.

Nel deserto si entra nudi; è necessario liberarsi di ogni ricchezza del mondo, di ogni peso e fardello che fatalmente rallenterebbero il nostro cammino. Gesù si inoltra nel deserto senza provviste. Egli è andato nella libertà delle rondini del cielo e nella semplicità di un giglio di campo. Se noi non rimettiamo la nostra vita nelle mani del Padre, senza timore di quel che mangeremo o di quel che vestiremo (v. Mt 6:25), non entreremo nel regno di Dio che per il mondo è un deserto. Per colui che è nello Spirito, vivere o morire è tutt’uno, poiché “sia che viviamo, sia che moriamo, noi siamo del Signore” (Rom 14:8b).

In quel deserto Gesù camminò fino al calar del sole, poi si fermò e fu solo.

Nel deserto ogni opera è inutile, ogni pensiero è vano; lì non c’è tempo, non ci sono stagioni, c’è un solo giorno, il primo giorno fatto solo di luce e di tenebre. Quando l’uomo smarrisce l’illusione del mondo ecco infine la solitudine, l’esperienza di chi muore, non al mondo ma a se stesso. Veramente solo è chi è straniero nel proprio cuore.

Certamente, nel deserto, Gesù pregò per la maggior parte del tempo, fino a quando il silenzio intorno non gli entrò nell’animo; “Abba, Padre” è la preghiera di chi non ha più nulla; è la preghiera di chi più nulla ha da dire; è la preghiera delle rondini che volano, dei gigli che fioriscono, delle stelle che affollano la notte. “Contale se puoi”, aveva detto un giorno Dio ad Abrahamo, Gesù le contava […]. Egli le chiamava tutte per nome.

Gesù ha sopportato l’arsura del cielo, di un cielo lontano, muto, rovente, ed ha affrontato “il terrore delle notti” immerso nella preghiera; una preghiera incessante, sempre uguale, che scaturiva dalla sua anima come un fiotto di acqua viva:

“Padre mio che dal cielo ascolti,

sia manifestato il tuo Nome,

venga sul mondo la tua luce, si compia ogni tuo desiderio

come tra gli angeli così tra gli uomini, donami ora il tuo pane...”

(Tratto da Rocco Quaglia, Gli incontri di Gesù. La tentazione, ed. Sharòn 1999, pp. 28-30)

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Giuseppe Maria 6

Dio non forza nessuno ad amarlo. Egli mi ama, e basta. Mi ama persino se non credo in Lui. Mi cerca quando io non lo cerco. Mi parla quando io non lo ascolto. Mi cura quando io non voglio essere curato. In una parola: mi ama di amore infinito.
(Padre Giuseppe Maria, 25 febbraio 1972)