Considerazioni sull’opera del Beato Giovanni Duns Scoto
Sono pochi coloro che hanno dimestichezza con le opere di Giovanni Duns Scoto.
P. Gemelli nel 1933 scrisse: “forse non c’è Dottore medioevale più incompreso di questo francescano scozzese. Lo stesso titolo di Dottore sottile di cui lo fregiarono, ha una sfumatura ironica. Fu detto un ribelle e prosegue la più antica tradizione scolastica sviluppando le intuizioni di sant’Agostino e armonizzandole con le parti conciliabili dell’aristotelitismo; fu detto un francescano che ha perduto il senso dell’amore, e la sua filosofia è tutta fondata sull’amore; fu detto un contraddittore sistematico, un teologo cavilloso, un precursore del volontarismo e dell’immanenza, il Kant del secolo XIII, e invece il suo realismo è quanto mai scolastico, aborrente da ogni pretesa autonomia della natura e dell’io; le sue teorie sulla Vergine Immacolata e sull’Incarnazione trovano dopo secoli la conferma nel dogma dell’Immacolata e nel culto della Regalità Cristo” (Agostino Gemelli, Il Francescanesimo, ed. Vita e Pensiero, Milano 1933, 58-59).
E’ vero che da qualche decina di anni l’atteggiamento nei confronti di Giovanni Duns Scoto è cambiato: la conoscenza diretta delle sue opere ha fatto ritrattare più di un giudizio e ha fatto parlare di lui come “dell’ultimo grande personaggio della grande Scolastica” e di “un uomo che è strettamente affezionato alle tradizioni più autentiche della psicologia francescana”.
Indubbiamente la lettura delle sue opere non è agevole, ma lo sforzo di penetrazione del suo pensiero appare ripagato dalla scoperta di un uomo che è insieme ricercatore tenace e spirito ardente, uomo non facilmente contentabile e, nella rispettosa deferenza verso le opinioni altrui, aperto ad anticipazioni prestigiose. Al primo contatto tutto sembra nebuloso. Poi ad uno sforzo più paziente di comprensione, sotto la trama ricchissima di figure logiche, si svela un meraviglioso ordine concettuale ed una commossa sensibilità spirituale (p. Costantino Koser, Giovanni Duns Scoto, maestro, maestro oggi).
P. Longpré scrisse giustamente che “l’opera teologica e filosofica di Scoto è una larga e potente sintesi totalmente dominata dall’idea di amore….Tutte le grandi correnti mistiche del Medioevo si sono riunite nella sua personalità tutta fuoco ed unzione ed egli a proposito di amore risplende vicino a san Francesco d’Assisi. Il card.Ehrle lo ha chiamato il san Francesco di Sales del secolo XIII. Legittimamente ci si può domandare se nella speculazione metafisica un Dottore mariano non abbia spinto fino all’ultima frontiera possibile il dominio dell’amore…se in definitiva il sistema metafisico di Scoto non sia la sintesi speculativa più tipicamente serafica che abbiano elaborato i maestri francescani del secolo XIII”.
In Scoto risplende il primato dell’amore: il bene e l’amore sono il tessuto fondamentale di tutto ciò che esiste: Dio “è formalmente amore” e “opera per amore”.
E’ in tale prospettiva dell’amore che si colloca colui che dell’amore è l’espressione sublime, Cristo, il “summum opus Dei” e colei che strettamente legata al Cristo è l’oggetto di predilezione da parte di Dio: la Vergine Immacolata.
In tal senso Scoto ha davvero completato sul terreno speculativo la sintesi cristocentrica della spiritualità francescana iniziata da san Francesco e proseguita da san Bonaventura.
Nella speculazione teologica del maestro francescano, nell’Eucarestia Dio ha quasi fatto una sintesi visibile del suo amore, in essa Cristo attua di nuovo la sua santissima umanità: ciò spiega, al dire del Dottore sottile, la centralità dell’Eucarestia nella vita della Chiesa: essa è vertice dell’economia sacramentaria e sorgente di ogni vitalità.
(Cfr. fr. Cristoforo Cecci in Quaderni di spiritualità francescana. La vita spirituale nel pensiero di Giovanni Duns Scoto)